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esame di fisica moderna II

 

I semiconduttori intrinseci e drogati

 

prof. antonio santoro

Introduzione   3

Bibliografia   3

Conduttori, semiconduttori ed isolanti  4

I vari modelli dell’atomo  6

Livelli e bande di energia  16

Approfondimento 1: la spettroscopia e l’atomo di Bohr   20

Approfondimento 2 – Equazione di Schrödinger ed orbitali  27

I semiconduttori  43

Semiconduttori intrinseci 43

Le lacune  45

Drogaggio dei semiconduttori 46

Drogaggio di tipo n  46

Drogaggio di tipo p  47

Legge dell’azione di massa  48

Approfondimento 3: Fenomeni di trasporto nei semiconduttori  50

Conduzione nei metalli 50

Massa efficace  51

Densità di carica in un semiconduttore  51

Conduttività nei semiconduttori 52

Concentrazione intrinseca  52

Ampiezza della banda di energie proibite  52

Effetto Hall 53

Modulazione della conduttività  54

Termistori 55

Fotoconduttori 55

Generazione e ricombinazione delle cariche  57

Corrente di diffusione  57

Produzione dei dispositivi a semiconduttore   59

Produzione del silicio  59

Purificazione chimica  59

Purificazione fisica  60

Formazione dei monocristalli 61

Tecnologia della giunzione pn  64

Diffusione  64

Formazione delle giunzioni per sovracompensazione  66

Diffusione in oro  67

Crescita epitassiale  67

Impiantazione ionica  69

Tecnologia planare  71

Un’applicazione - Il transistor JFET   82

Un’applicazione - Il transistor MOSFET   92

MOSFET enhancement mode  92

MOSFET depletion mode  97

Un’applicazione - L’energia Fotovoltaica   99

Introduzione  99

La radiazione solare  99

Le celle fotovoltaiche  100

I differenti tipi di celle  100

Principio di funzionamento  102

Conversione fotovoltaica  103

Come si costruiscono  103

METODI DI CREAZIONE DELLE CELLE FOTOVOLTAICHE   104

METODO CZOCHRALSKY   104

METODO EFG   104

METODO CASTING   104

Indice analitico   107


Introduzione

La realizzazione di questa tesina mi ha portato al tentativo di realizzare un materiale didattico utilizzabile nelle scuole. Il target previsto è quello di una classe del quinto anno Liceo scientifico. Per ovviare a difficoltà determinate da possibili disomogeneità nelle competenze di base degli allievi, la trattazione è a due livelli, con un percorso principale in cui è privilegiato un approccio descrittivo (in cui è ridotto al minimo il ricorso a strumenti matematici e il richiamo ad altre conoscenze) e un percorso di approfondimenti interconnesso con il primo che contiene trattazioni che si possono saltare

Bibliografia

-          materiale autoprodotto disponibile sul sito www.antoniosantoro.com

-          Millmann, Halkias – Microelettronica – Boringhieri

-          Kastler – Questa strana materia – Mondatori

-          Ferri – Tecnologia elettronica - Hoepli

-          Cuniberti, de Lucchi - TDP


Conduttori, semiconduttori ed isolanti

Possiamo classificare i materiali presenti in natura in base alla conducibilità elettrica che mostrano e quindi all’ostacolo che offrono al passaggio della corrente. Sappiamo che gli isolanti non consentono il passaggio di correnti apprezzabili, i conduttori consentono il passaggio di corrente e i semiconduttori hanno caratteristiche intermedie fra le altre due categorie.

Per esser più precisi dobbiamo introdurre il concetto di resistività. Ricordiamo che un corpo (che supponiamo di forma geometrica regolare, ad esempio un cilindro)

offre una resistenza al passaggio di corrente elettrica che è data dalla seguente formula

dove S è la sezione del cilindro, l è la lunghezza e ρ è la resistività del materiale in questione. Per resistività si intende con esattezza la resistenza offerta al passaggio della corrente, misurata fra facce opposte di un cubo il cui volume sia proprio un centimetro cubo: l’unità di misura della resistività è Ωcm. Nella seguente tabella riportiamo l’ordine di grandezza della resistività per isolanti, conduttori e semiconduttori.

 

Resistività (Ωcm)

Isolanti

1010-1023

Semiconduttori

103-108

Conduttori

10-8-10-4

 

Facciamo qualche esempio numerico: supponiamo di considerare un cilindro con l = 10 cm, S = 1 cm2. Se esso è in polietilene (resistività compresa fra 1015 e 1018) la resistenza che offre è compresa fra

10 milioni di miliardi di Ω

e

10000 milioni di miliardi di Ω

Se il cilindro è in rame (resistività 1,7*10-6 ) la resistenza offerta è

17 milionesimi di ohm.

Se il cilindro è di silicio (semiconduttore con resistività 2,3*105)

 milioni di ohm

Tavola delle resistività di alcuni materiali
(calcolati a 20 °C)

Materiale

Resistività r (in Ω × mm2 / m )

Argento

0.016

rame

0.017

Oro

0.024

Alluminio

0.028

Tungsteno

0.055

Platino

0.10

Ferro

0.13

Acciaio

0.18

Piombo

0.22

Mercurio

0.94

Costantana (lega 80% Cu, 40% Ni)

0.49

Carbonio

35

Germanio

60 × 102

Silicio

2.3 × 109

Ambra

5 × 1020

Vetro

1016 ÷ 1020

Mica

1017 ÷ 1021

Zolfo

1021

Legno secco

1014 ÷ 1017

 

Per comprendere i motivi di tale differenziazione di comportamento occorre fare riferimento alla teoria atomica.

I vari modelli dell’atomo

 

I modelli interpretativi dell’atomo hanno subito una notevole evoluzione nel corso del tempo. Il modello più semplice è quello rappresentato nella figura precedente (il modello atomico di Thomson). Thomson, con esperimenti in cui creava campi magnetici in un tubo a vuoto

 

 

 

 

 scoprì l’esistenza di particelle cariche negativamente (gli elettroni) e da cui desunse, data la neutralità complessiva dell’atomo, la presenza di cariche positive (i protoni) ma ritenne erroneamente che  gli atomi erano costituiti da sfere piene (i nuclei) in cui erano incastonati gli elettroni .

Questo modello non resse ai risultati sperimentali di Rhuterford il quale bombardò con nuclei di elio una lamina di oro

 

 

e pose rilevatori di particelle con diverse angolazioni rispetto alla lastra: se il modello atomico di Thomson fosse stato corretto ci si sarebbe aspettati che la totalità delle particelle di elio avrebbe dovuto rimbalzare all’indietro come palline di tennis scagliate contro un muro. Egli rilevò invece che solo una percentuale di tali particelle rimbalzava all’indietro mentre altre venivano deviate secondo vari angoli di inclinazione possibili

o addirittura attraversavano indisturbati la lamina.

 

Questo portò ad introdurre un modello planetario dell’atomo, in cui si riconosceva, in armonia con i risultati di Rhuterford, che l’atomo era costituito in gran parte da spazio vuoto, con la maggior parte della massa concentrata in un nucleo e gli elettroni che orbitavano intorno al nucleo come pianeti intorno al sole.

Il legame fra elettroni e nuclei era determinato dall’equilibrio fra forze meccaniche agenti sull’elettrone

Secondo questa modellizzazione meccanica si riteneva che un elettrone potesse possedere un’energia che potesse variare con continuità, assumere cioè qualunque valore reale possibile. All’aumentare dell’energia posseduta l’elettrone percorreva orbite con raggio sempre più grande fino a potersi allontanare dall’atomo

 

Questo modello non era però in grado di spiegare i risultati che si ottenevano analizzando lo spettro di emissione degli atomi cioè le frequenze delle radiazioni emesse dagli atomi. In una radiazione la frequenza è legata all’energia posseduta dalla radiazione emessa. Se un elettrone poteva variare la propria energia di un valore qualunque poteva emettere dunque radiazioni a tutte le frequenze

mentre si notava sperimentalmente che venivano emesse radiazioni soltanto ad alcune frequenze

Il fisico Niels Bohr ne dedusse che l’energia posseduta dall’atomo dovesse essere allora una grandezza quantizzata, una grandezza cioè che non poteva assumere tutti i valori possibili, ma che variasse a scatti, detti quanti di energia. Di conseguenza anche le orbite percorse non potevano essere tutte quelle immaginabili ma il loro raggio doveva variare a scatti, di multipli di una quantità minima.

 

 

Un elettrone poteva passare da un’orbita all’altra soltanto cedendo o acquistando una quantità di energia pari alla differenza fra le energie corrispondenti alla due orbite.

Il modello di Bohr resse a lungo sia pur con correzioni di dettaglio come quella di De Broglie, che consentivano una maggiore aderenza ai risultati sperimentali.

 

La vera rivoluzione fu data dal principio di indeterminazione di Heisenberg 

Egli dimostrò in sostanza che non è possibile determinare contemporaneamente posizione e velocità di un elettrone nello spazio. Da ciò deriva che parlare di orbite percorse dall’elettrone è un non senso., perché il concetto di orbita presuppone la capacità di determinare con precisione il moto di un corpo. Andava introdotto, allora, un nuovo modello di interpretazione degli atomi, in cui si rinunciava a determinare con precisione assoluta il moto degli elettroni e ci si accontentava di darne una descrizione probabilistica: invece di determinarne la traiettoria ci si accontentava di determinare zone dello spazio intorno al nucleo in cui l’elettrone potrebbe trovarsi con sufficiente probabilità, gli orbitali. Questi orbitali venivano determinati mediante strumenti matematici molto sofisticati, detti funzione d’onda

 

Si hanno diversi tipi di orbitali

 

Gli elettroni di un atomo occupano i vari orbitali a partire da quelli con minore energia

Livelli e bande di energia

Quello che ci interessa ora ribadire è la natura quantizzata dell’energia posseduta da un elettrone

 

Ad un elettrone sono dunque permessi soltanto certi livelli di energia, ad esempio 10,19 elettronvolt oppure 12,047 elettronvolt ma non, per esempio, 10,21 oppure 11,4589 elettronvolt. Dunque la sua energia non può assumere tutti i valori immaginabili.

Questa situazione è vera, però, soltanto se l’atomo è isolato, molto distante dagli altri atomi. Se l’atomo è inserito in un reticolo cristallino, le interazioni elettriche fra gli elettroni di un atomo e quelli dell’atomo successivo complicano le cose e fanno moltiplicare i livelli energetici possibili. Analizziamo la seguente figura

In essa poniamo sull’asse delle ascisse la distanza d interatomica cioè la distanza reciproca fra i vari nuclei del reticolo, e sull’asse delle ordinate l’energia posseduta dagli elettroni. Vediamo che se d è molto grande , cioè gli atomi sono molto distanti l’uno dall’altro, vi sono pochi livelli energetici, ma via via che avviciniamo gli atomi fra loro, i livelli si moltiplicano tanto da dar luogo a vere e proprie bande , cioè intervalli all’interno dei quali è permesso all’energia di assumere un qualsiasi valore.

Dalla figura si vede anche che si creano bande di valori di energia che un elettrone non può possedere. In definitiva, per atomi inseriti in un reticolo cristallino, la situazione è la seguente

 

Abbiamo tre possibili bande di energia:

-         la banda di valenza, è un insieme di valori di energia che possiede un elettrone vincolato all’atomo,

-         la banda proibita o gap costituita da un insieme di valori di energia che un elettrone non può possedere

-         la banda di conduzione. Un elettrone che acquista una tale energia abbandona l’atomo e diventa libero.

Scopriamo anche, dalla figura precedente, che l’ampiezza della banda proibita dipende dalla distanza interatomica e che essa è molto grande negli isolanti, ha un valore minore nei semiconduttori, è praticamente inesistente nei conduttori

 

Proprio l’ampiezza della banda proibita consente di spiegare il diverso comportamento di isolanti, conduttori e semiconduttori.

Negli isolanti, data l’ampiezza del gap, diventa molto difficile, improbabile statisticamente, che un elettrone diventi libero, per cui la popolazione di elettroni liberi in un materiale isolante è molto piccola, da cui l’impossibilità di avere correnti significative.

Nei semiconduttori, il numero di elettroni liberi è superiore a quello presente negli isolanti poiché il gap da saltare è inferiore.

I conduttori sono ricchissimi di elettroni liberi poiché non esiste una banda proibita da dover superare.

Per avere un’idea più precisa, diciamo che in un metro cubo di materiale isolante troverete da 1 milione a  dieci milioni di elettroni liberi mentre in un buon conduttore troverete 1028 elettroni liberi cioè 10 miliardi di miliardi di miliardi di elettroni liberi.

Nel silicio abbiamo 1016 elettroni liberi per metro cubo cioè dieci milioni di miliardi di elettroni liberi.

Immagine:Charge carriers concentration.png
Approfondimento 1: la spettroscopia e l’atomo di Bohr

La lue è un fenomeno vibratorio, cioè un fenomeno che si riproduce identico a se stesso dopo un tempo T sempre uguale, detto periodo. L’inverso del periodo, la frequenza

rappresenta il numero di vibrazioni per unità di tempo. Se la vibrazione si propaga nello spazio  si ha la formazione di onde analoghe alle onde che si formano in uno specchio d’acqua che si succedono ad intervalli regolari nello spazio.

Immagine:Wavelength.JPG

L’intervallo spaziale fra due creste dell’onda prende il nome di lunghezza d’onda λ. Esso si può calcolare come lo spazio percorso dall’onda in un periodo T. Quindi se c è la velocità di propagazione della luce si ha

E’ utile anche considerare l’inverso della lunghezza d’onda che prende il nome di numero d’onda e rappresenta il numero di lunghezze d’onda in un’unità di misura

L’aspetto degli spettri di differenti sorgenti luminose permette di classificarli in alcune categorie. Innanzitutto distinguiamo fra spettri continui e discontinui.

Un esempio di spettro continuo è quello della radiazione emessa da un corpo incandescente. Le radiazioni si susseguono nello spettro senza interruzioni. Si ha dunque a che fare con una serie continua di lunghezze d’onda.

L'andamento delle curve di Planck per il corpo nero. In ascissa la lunghezza d'onda, in ordinata l'intensità.

 

 

 

Spettro della luce

Se, invece, si esamina allo spettroscopio lo spettro di una scarica elettrica in un gas si nota che esso ha un aspetto discontinuo

Spettroscopio

 

Vi si distinguono regioni luminose alternate con regioni oscure. In alcuni casi si osservano righe molto sottili su fondo nero. In altri casi le regioni luminose hanno la forma di bande larghe. Gli spettri di riga sono emessi da atomi isolati cioè da molecole monoatomiche mentre gli spettri a bande sono emessi da molecole pluriatomiche.

Spettri di emissione

L’interesse verso questi spettri risiede nel fatto che ciascun elemento chimico ha uno spettro caratteristico per cui la spettroscopia diventa un valido metodo di analisi chimica. Elementi come il cesio e il rubidio sono stati scoperti proprio mediante analisi spettroscopica così come l’elio è stato individuato nell’analisi spettroscopica della corona solare.

Uno degli spettri più studiati all’inizio della storia della spettroscopia è stato quello dell’atomo di idrogeno

Spettroscopio

Spettro dell'idrogeno

Esso si compone nel visibile di tre righe soltanto

-         una rossa detta Hα

-         una verde-blu detta Hβ

-         una violetta detta Hγ

Questo spettro si prolunga nell’ultravioletto mediante numerose righe  sempre più fitte e termina alla lunghezza d’onda di 3645 angstrom.

Le lunghezze d’onda presenti nello spettro sono esprimibili mediante una formula detta di Balmer

Se ad m sostituiamo i numeri interi 3, 4, 5 ecc. Troviamo le lunghezze d’onda dello spettro. Se poniamo m ad infinito troviamo il valore limite di 3645,6 angstrom.

In termini di numero d’onda si ha una formulazione alternativa della serie di Balmer

R è detto costante di Rydberg ed ha il valore numerico di 109678 cm-1 . L’esame della formula di Balmer sotto questa forma suggerisce la seguente generalizzazione

Dove n può essere una qualunque numero intero (ma inferiore ad m per varie numeri d’onda positivi). Per n=1 si trova una lunghezza d’onda limite a 911,7 angstrom nell’ultravioletto.  Il fisico americano Lyman, analizzando lo spettro nel campo ultravioletto, trovò una serie di righe dette appunto di Lyman

Posto n=3 si ha la serie di Paschen nel campo dell’infrarosso.

La comprensione del significato fisico di tali spettri dovette attendere la teoria di Bohr relativa all’atomo di idrogeno.

Sapendo che la forza di attrazione elettrostatica fra nucleo ed elettrone varia con l’inverso del quadrato della distanza , in analogia con la forza di attrazione gravitazionale, Bohr suppose che l’elettrone dovesse girare intorno al nucleo su un’orbita esattamente come un pianeta che viaggia intorno al sole.  

In termini di fisica classica la forza di attrazione fra nucleo ed elettrone deve eguagliare la forza dovuta all’attrazione centripeta

L’elettrone possiede un’energia cinetica pari a

ed un’energia potenziale dovuta alla forza di attrazione elettrostatica pari a

Quindi l’elettrone possiede un’energia totale

Utilizzando l’equazione di equilibrio della forza si ha

Il segno – sta solo ad indicare che si è scelto lo zero dell’energia potenziale all’infinito.

In accordo con le leggi classiche dell’elettromagnetismo se una carica compie delle oscillazioni ad una data frequenza deve emettere onde elettromagnetiche alla stessa frequenza. Quindi l’atomo deve emettere onde alla stessa frequenza con cui l’elettrone ruota intorno al nucleo.

Ma se l’elettrone irradia energia sotto forma di onde elettromagnetiche la sua energia totale e quindi il raggio della sua orbita deve diminuire fino a farlo collassate sul nucleo stesso.

 

Da un lato dunque dovremmo assistere ad una notevole instabilità degli atomi e al fatto che le radiazioni emesse abbiano una frequenza che varia con continuità.

La teoria di Bohr si basa invece su tre postulati

-         in contrasto con la fisica classica un atomo può possedere soltanto determinati valori discreti di energia. Quando un elettrone si trova negli stati corrispondenti a tali vaori di energia esso non emette radiazioni (stato stazionario o non irradiante)

-         per passare da uno stato ad energia superiore ad uno stato ad energia inferiore l’elettrone deve irradiare energia pari alla differenza fra le energie corrispondenti ai due stati con frequenza

   dove h è la cosiddetta costante di Plank

-         uno stato stazionario è determinato dalla condizione che il momento angolare dell’elettrone risulta quantizzato con

Da questa condizione risulta che i livelli di energia permessi sono dati dalla seguente espressione

Questa espressione è in accordo con i risultati sperimentali

 

 

 


Approfondimento 2 – Equazione di Schrödinger ed orbitali 

Prendiamo in considerazione un elettrone: vogliamo studiare la sua posizione e la sua velocità. Costruiamo un'esperienza ideale, una esperienza cioè in cui lo sperimentatore dispone di un laboratorio ideale in cui egli possa costruire qualsiasi genere di strumento o congegno purché la sua struttura ed il suo funzionamento non contraddicano le leggi fondamentali della fisica. Vogliamo osservare la traiettoria di un elettrone in movimento, lanciato da un particolare meccanismo e soggetto alla forza di gravità della Terra.                             .

        L'attrezzatura per fare l'esperienza è la seguente:

a) una camera dentro la quale è stata aspirata completamente l'aria, fino all'ultima molecola;

b) un cannoncino in grado di sparare elettroni, uno alla volta, orizzontalmente e sistemato su una parete della camera;

c) una sorgente luminosa capace di emettere fotoni in numero variabile a piacere e di qualsiasi frequenza;

d) un microscopio in grado di poter osservare qualsiasi frequenza (perfino le lunghe onde radio e i cortissimi raggi g).

Cerchiamo di vedere e capire cosa succede ad un elettrone quando si pone in moto nella  camera. Allora vogliamo vedere quale traiettoria  questo elettrone segue Ma per vedere occorre illuminare e per illuminare occorre che almeno un fotone colpisca l'elettrone. Se un elettrone è colpito da un fotone, al contrario di una palla colpita da uno o più fotoni, gli scambi di energia sono del lo stesso ordine di grandezza ed allora, dopo l'urto, l'elettrone avrà completamente variato la sua traiettoria e la sua velocità.

se un elettrone è colpito da un fotone, al contrario di una palla colpita da uno o più fotoni, gli scambi di energia sono del lo stesso ordine di grandezza ed allora, dopo l'urto, l'elettrone avrà completamente variato la sua traiettoria e la sua velocità.

si potrebbe pensare di diminuire l'energia del fotone che urta l'elettrone in modo da perturbare il meno possibile l'elettrone stesso. Esiste una relazione che lega l’energia del fotone alla sua frequenza

E = hn

 per diminuire E si può agire sulla frequenza n, si può cioè  rendere sempre più piccola la frequenza n . Poiché frequenza e lunghezza d'onda sono tra loro inversamente proporzionali, diminuire la frequenza equivale ad aumentare la lunghezza d'onda:

Abbiamo quindi un fotone con energia piccolissima, cioè un fotone che dispone di una piccolissima frequenza, cioè un fotone che ha una grande lunghezza d'onda.

Ora si ha la diffrazione anche quando poniamo un piccolissimo oggetto (il cui diametro sia dell'ordine di grandezza della lunghezza d'onda della luce) davanti ad una sorgente luminosa: su di uno schermo posto di fronte troveremo non un ombra netta ma confusa.

Usando, come ci eravamo proposti, un fotone di bassa energia  per non perturbare la traiettoria e la velocità dell'elettro ne che stiamo osservando  ci troviamo nella condizione in cui il fotone ha una bassa frequenza e quindi una grande lunghezza d'onda. Se dunque aumentiamo la lunghezza d'onda del fotone per perturbare meno traiettoria e velocità dell'elettrone, troveremo nel nostro microscopio delle immagini scadenti, cioè una misura poco precisa della posizione dell'elettrone.   Quindi per un fotone che si muove con una grande frequenza n, cioè con una piccola lunghezza d'onda l, avremo sul microscopio una immagine come quella in cui l'elettone si vede come se avesse una traiettoria a zig zag. Mano a mano che diminuiamo la frequenza, e quindi aumentiamo la lunghezza d'onda, otterremo via via sul nostro microscopio delle immagini come quel le riportate nelle figure successivamente riportate:

 

        Nell'ultima figura  possiamo intravedere una traiet toria anche se grossolanamente approssimata. Non siamo in grado comunque di dare la posizione dell'elettrone.

        Allora: o si dà la posizione dell'elettrone rimanendo completamente indeterminata la sua traiettoria (figura con elettrone a zig zag), oppure si dà la traiettoria rimanendo completamente indeterminata la posizione (ultima figura). La penultima figura ci fornisce però una via di mezzo:  usando una frequenza intermedia si avrà una traiettoria alterata solo parzialmente ed anche la posizione si potrà stabilire con una piccola incertezza. L'elettrone non avrà una linea ben definita come traiettoria ma comunque resterà confinato entro una striscia.

        Questi ragionamenti furono quelli che portarono Heisenberg al suo famoso principio di indeterminazione (1927) che egli riuscì a formulare anche con una relazione matematica.

        Secondo il principio di indeterminazione: è impossibile determinare con esattezza e simultaneamente la posizione e la velocità di un elettrone ( e più in generale di una particella).

       La forma matematica di queste principio è molto semplice Se chiamiamo con x la posizione dell'elettrone e quindi con Dx l'indeterminazione sella posizione, da quanto abbiamo detto si ricava che Dx è dell'ordine di grandezza della lunghezza d'onda l del fotone, mentre, se chiamiamo con q la quantità di moto dell'elettrone (q  =  mv  =>  Dq  = Dmv) e quindi con Dq l'indeterminazione nella sua quantità di moto, si può facilmente vedere che anche  D q dipende da l e maggiore è l'energia trasportata dal fotone,  maggiore è l'energia che questo scambia con l'elettrone. Più precisamente si avrà:

combinando queste due relazioni si trova: 

Con altre considerazioni, la forma definitiva del principio di indeterminazione risulta essere:

 essendo h la costante di Planck ed m la massa dell'elettrone

  Per descrivere il comportamento dell'elettrone attorno all'atomo possono essere utili delle funzioni matematiche che tengano conto del campo di potenziale in cui si trova l'elettrone; ma il campo è condizionato dalla posizione istantanea dell'elettrone rispetto al nucleo e questa è rappresentabile con un sistema di coordinate cartesiane in cui l'origine degli assi coincide con il centro del nucleo M.

Nel 1926 Erwin Schrödinger (1887-1961; premio Nobel nel 1933) sviluppò una equazione differenziale la cui soluzione è la funzione desiderata, cioè quella che rappresenta la posizione dell'elettrone rispetto alla sua energia; questa funzione y è chiamata funzione d'onda.

L'equazione differenziale é:

equazione di Schrödinger

in cui:

Erwin Schrödinger

(d2y / dx2), (d2y / dy2), (d2y / dz2) sono le derivate seconde parziali della funzione y rispetto alle direzioni x, y e z;

m è la massa dell'elettrone;

E è l'energia totale dell'elettrone (Etot);

V è l'energia potenziale dell'elettrone (Epot);

y è la funzione d'onda

E' evidente che il termine (E-V) rappresenta l'energia cinetica (Ecin)

  Sia E sia y sono incognite; trattandosi perciò di una equazione a due incognite, esisteranno infinite soluzioni dell'equazione: ad un certo valore per l'energia (detto autovalore) Ei, corrisponderà una certa funzione yi (detta autofunzione).

Potremo perciò conoscere l'energia dell'elettrone in funzione dei suoi spostamenti (in effetti la cosa è più complessa, ma in prima approssimazione questo può essere sufficiente).

 

Queste y, per gli atomi, possiamo chiamarle orbitali. Ad ogni stato stazionario corrisponde una yi e perciò una ben determinata Ei.

Le varie y possono avere, tra l'altro, anche "forme" speciali diverse. Ciò dipende da parametri che sono chiamati numeri quantici.

I numeri quantici sono così chiamati poiché definiscono grandezze atomiche quantizzate, sono sempre interi (escluso l'ultimo, il momento magnetico di spin) e sono di quattro tipi.

 

Il numero quantico principale n (enne) riguarda la quantizzazione della energia totale Etot (corrisponde cioè ai livelli di energia indicati nello schema energetico del modello) e può assumere i valori n=0,1,2,...

 

Il numero quantico secondario o azimutale l (elle) è relativo al momento angolare (corrisponde perciò ad una grandezza vettoriale) e può assumere valori condizionati dal valore di n:    l=0,1,2,...,(n-1)

l indica come si muove l'elettrone; è "come se" esso compisse dei percorsi orbitali ellissoidali. Per l=0 è "come se" l'elettrone compisse un movimento oscillatorio "attraverso" il nucleo.

Essendo l una grandezza vettoriale, oltre a direzione e verso, essa possiede anche un modulo b, che assume valori dipendenti da l

MODUB.jpg (10070 byte)

Per esempio, per l=2, il modulo b è

MODUELLE.jpg (25451 byte)

 

Il numero quantico magnetico m (emme) è relativo alla quantizzazione "spaziale" del momento angolare, che può assumere, cioè, solo certe orientazioni rispetto ad una definita direzione; la direzione viene definita solo in presenza di un campo elettrico o magnetico che orienti il vettore. Il campo può essere esterno, imposto da noi, oppure dovuto alla vicinanza di altri atomi o molecole. I valori possibili rappresentano le proiezioni del vettore momento angolare lungo la direzione del campo magnetico e possono essere soltanto:

        m= -l, -l+1, ...-1, 0, 1, ...l-1, l

Per esempio, per l=2, le possibilità sono cinque, con orientazioni corrispondenti a m = -2, -1, 0, +1, +2.

Le proiezioni lungo la direzione z potranno assumere perciò i valori:

      0 (per m=0)   ±h/2p (per m=±1)  ±2 h/2p (per m=±2)

orientazioni del vettore momento angolare rispetto a un campo

 

Esiste però anche un numero quantico di spin ms, il quarto.

Gli elettroni anno loro stessi (indipendentemente dal loro movimento attorno al nucleo) un momento angolare (e quindi anche magnetico) diverso da zero: esso si chiama momento angolare di spin: l'elettrone ruota anche su se stesso (come la terra nella sua rotazione attorno al suo asse); la rotazione può avvenire in due sensi rispetto ad una direzione prefissata, cioè rispetto ad un campo magnetico.

Anche questo momento è quantizzato ms= ± 1/2

per l'elettrone sono possibili perciò solo due orientazioni:

Moduess1.JPG (10834 byte)

Anche altre particelle hanno un momento magnetico, i protoni del nucleo, per esempio (fenomeno sfruttato nella risonanza magnetica nucleare o n.m.r.) ed anche i neutroni.

La tendenza generale delle particelle è di associarsi fra loro con spin antiparalleli:       ­¯

 

 

Ma che utilità ha per noi la funzione d'onda y che è una funzione matematica?

Immaginiamo che l'elettrone sia rappresentabile da una carica elettrica dispersa nello spazio: allora, per ogni punto identificato dalle coordinate (x,y,z), il valore y2 è proporzionale alla densità di carica in quel punto; oppure, preso un volume dt piccolo a piacere, y2dt rappresenta una misura della probabilità di trovare l'elettrone in quel volume dt.

Per ottenere la probabilità di trovare l'elettrone in una certa regione dello spazio occorre calcolare l'integrale òy2dt esteso a tutta la regione che interessa.

 

Chiameremo così "orbitale" una regione dello spazio delimitata da una superficie a uguale y2 e, al cui interno, la probabilità di trovare l'elettrone sia, per esempio, 90% (se volessimo 100% dovremmo considerare "tutto" lo spazio).

Questa "definizione" sarà da noi usata per rappresentare graficamente gli orbitali; y rappresenta perciò, per noi, soprattutto una funzione di probabilità.

 

L'orbitale 1s è così rappresentabile come una sfera che contiene il 90% di carica elettronica. Il 2s è simile all'1s ma di dimensioni maggiori. Al crescere di n, numero quantico principale, crescono le dimensioni.

 

All'aumentare di n aumenta E degli orbitali, finché per n=¥, E=0; l'elettrone non è più legato al nucleo e la sua energia non è più quantizzata ma continua.

 

l, numero quantico secondario, indica la forma degli orbitali, mentre m, numero quantico magnetico, caratterizza le orientazioni.

 

Vediamo qualche raffigurazione di orbitali, rappresentati come sezioni della superficie di contorno a y2 costante.

Tutti gli orbitali di tipo s hanno simmetria sferica e la loro funzione d'onda è sempre positiva; per ottenere la forma tridimensionale dell'orbitale basta pensare ad una rotazione di 180° attorno ad un asse qualsiasi.

Le dimensioni aumentano all'aumentare del numero quantico n.

orbitali s

 La simmetria è assiale; ogni orbitale p ha un piano nodale (in cui la funzione y si annulla, dato che cambia di segno e perciò anche y2 assume il valore zero) perpendicolare al suo asse.

L'orbitale tridimensionale si può generare per rotazione attorno al suo asse di simmetria. Anche nel caso degli orbitali p le dimensioni aumentano all'aumentare del numero quantico n.

 

orbitali p

 Ognuno di questi orbitali d ha due piani nodali: per il dyz, per esempio, sono i due piani xy e xz.

3 orbitali d...

 Il primo a sinistra ha 2 piani nodali, perpendicolari a quello del disegno e che comprendono le bisettrici degli assi x y; il secondo una superficie nodale conica con il vertice all'incrocio degli assi cartesiani, dato che la parte di orbitale che giace sul piano xy ha struttura toroidale, con asse di simmetria z.

e gli altri 2 orbitali d

 

Negli orbitali f, che non vengono rappresentati perché piuttosto complessi (hanno generalmente 8 lobi), esistono tre piani nodali o superfici nodali complicate, rappresentate da funzioni matematiche di terzo grado; ciò è legato al valore del numero quantico l= 3, come per l=2 c'erano 2 piani nodali e superfici coniche (perciò di secondo grado).

 

Che significato hanno queste rappresentazioni grafiche degli orbitali? Esse indicano la superficie che racchiude una regione di spazio entro cui abbiamo una certa probabilità (il 90% o altro valore inferiore a 100) di trovare l'elettrone; i disegni rappresentano ovviamente sezioni di queste regioni di spazio.

 

Esistono anche altri tipi di rappresentazione. Vediamone alcune per uno stesso orbitale, per esempio un 2pz:

Vari tipi di rappresentazione degli orbitali, legati al loro campo di utilizzo. Gli esempi sono relativi a un orbitale pz sul piano xz (l'immagine tridimensionale si ottiene per rotazione attorno all'asse z).

 

a) rappresenta un diagramma polare di ampiezza

b) rappresenta un diagramma polare di probabilità (o di densità)

c) rappresenta una mappa di probabilità

varie rappresentazioni di orbitali p

In a) la lunghezza del raggio vettore nella direzione definita da J è proporzionale al valore di y, in quella direzione; dà luogo a un lobo positivo e un lobo negativo, però non dice come varia l'ampiezza rispetto alla distanza dal nucleo.

In b) la lunghezza del raggio vettore è proporzionale a y2 nella direzione del vettore, sempre a distanza fissa dal nucleo. Anche questo non ci dice come varia y2 al variare della distanza. I lobi sono positivi poiché si tratta di y2 (infatti non esiste probabilità negativa) e sono regioni di densità elettronica.

In c) le curve  corrispondono alla probabilità di trovare l'elettrone nella zona ottenuta per rotazione attorno all'asse z, del 60%, del 70%, dell'80%, del 90%. Una variante di questa è il diagramma punteggiato.

Comunque noi li rappresentiamo, gli orbitali hanno il carattere di artifici matematici più che di entità fisiche, ma ogni rappresentazione può avere un significato ed una utilità diversa.

 Il termine "orbitale" è stato introdotto nel 1932 da Robert Mulliken (nato nel 1896; premio Nobel nel 1966) come abbreviazione di "One-electron Orbital Wave Function".

Ma perché "one-electron", monoelettronica?

Perché yx,y,z dipende dalle coordinate di un solo elettrone: la descrizione infatti è rigorosa solo per atomi con un solo elettrone (come H o He+); per gli altri atomi è una approssimazione (che si può comunque considerare generalmente valida), poiché si trascura la repulsione tra gli elettroni.

Per atomi polielettronici è estremamente difficile risolvere con esattezza l'equazione d'onda; una soluzione approssimata indica che gli orbitali sono "simili" a quelli monoelettronici di H. Perciò continueremo a chiamarli 1s, 2s, 2p, 3d, etc.., benché questi siano stati calcolati in particolare per H.

L'energia dipende dal numero quantico n, ma anche da l, poiché in funzione di l aumenta la repulsione elettronica. La disposizione degli elettroni negli orbitali di un atomo neutro, al livello minimo di E è la configurazione elettronica dello stato fondamentale. Per ottenere questa configurazione si seguono tre criteri operativi o principi:

 

il Principio di minima energia: ogni elettrone occupa l'orbitale disponibile a energia più bassa.

 

il Principio di Pauli: in un atomo non possono esistere 2 elettroni con i 4 numeri quantici eguali; perciò, nello stesso orbitale, possono esserci 2 soli elettroni purché con ms, momento di spin, diverso; gli spin dei due elettroni devono essere perciò antiparalleli, ­¯ dato che, essendo nello stesso orbitale, gli elettroni hanno gli altri 3 numeri quantici n, l, m, eguali.

 

la Regola di Hund o della massima molteplicità: se due o più elettroni occupano orbitali degeneri (cioè a eguale energia), gli elettroni occupano il maggior numero possibile di questi orbitali, e a spin paralleli ­­.

 Seguendo le regole su indicate, e conoscendo la sequenza di energia per gli orbitali, indicata in figura, si può sapere, per ogni atomo, quali sono quelli occupati e si può procedere all'aufbau, cioè al riempimento progressivo degli orbitali con gli elettroni.

n definisce il cosiddetto "guscio", o "shell"; così, per esempio, per n=1 avremo il guscio K, per n=2 L, per n=3 M, etc.

Entro un guscio, orbitali con l più alta sono a E più alta, sempre a causa delle interazioni elettroniche.

m (momento angolare) e ms (momento di spin), nella Aufbau, non hanno influenza sull'energia degli orbitali, poichè indicano solo l'orientazione della corrente elettronica sotto l'effetto di un campo, che quando si parla di atomi isolati, non c'è.

 

 

 

Schema energetico per i vari tipi di orbitali, distinti in s, p, d, f, al variare del numero quantico n; ad ogni n corrisponde un guscio o shell.

 

livelli energetici dei vari tipi di orbitali

 

Per H (che ha Z=1), n=1, l=0: la configurazione elettronica potrà venire indicata con 1s­ oppure, sinteticamente, con 1s1.

 

Per He (Z=2), n=1, l=0, occorre applicare il principio di Pauli: poiché due numeri quantici sono eguali, occorre che almeno uno degli altri due sia diverso perché il secondo elettrone possa stare col primo; poiché è l=0, è anche m=0; resta solo ms: è necessario che se un elettrone ha ms = +1/2, l'altro abbia ms = -1/2. Devono perciò essere antiparalleli: la configurazione verrà indicata con 1s­¯, o, sinteticamente, con 1s2.

N.B. E' chiaro, quando scrivo 1s2, che i due elettroni che si trovano nell'orbitale 1s devono essere obbligatoriamente a spin antiparalleli per il principio di Pauli; perciò scrivo semplicemente il loro numero; analogamente, quando scriverò 2p3 è implicito che i tre elettroni occupino ognuno un orbitale p e che siano tutti e tre a spin parallelo, per il principio di Hund. Questo è un esempio della complessa significatività delle simbologie che usa il chimico e della necessità di possedere profondi requisiti di conoscenza per poter comprendere il significato profondo dei simboli usati.

 

Nella figura successiva sono indicate alcune rappresentazioni equivalenti della configurazione elettronica di alcuni atomi (da Z=3, Li, a Z=13, Al)

Configurazione elettronica del guscio esterno degli atomi con numero atomico da 3 a 13 e vari tipi di notazione usati per rappresentarla.

Nella prima colonna sono indicati i numeri atomici Z.

Nella seconda, la configurazione elettronica secondo Lewis: sui quattro lati del simbolo sono evidenziati i doppietti e gli elettroni spaiati (del guscio esterno).

Nella terza, una rappresentazione che dà il guscio (shell) già completato, come (He) o (Ne), seguito dal nome degli orbitali disponibili ed occupati; quando il guscio è completato (solo per s e p), cambia il simbolo del gas nobile corrispondente; sono evidenziati anche gli spin accoppiati nel caso di doppietti o, nel caso di elettroni spaiati, gli spin paralleli degli elettroni che occupano orbitali degeneri diversi, secondo la regola di Hund. In una analoga rappresentazione (He) è sostituito dal nome del guscio, K; (Ne) da KL (sono completi ambedue i gusci) etc.

Nella quarta una rappresentazione completa della configurazione, che non evidenzia però se gli elettroni si trovano nello stesso orbitale o in orbitali degeneri diversi; ricordando però la regola di Hund, è ovvio, per esempio, che N ha tre elettroni 2p a spin paralleli e in tre orbitali degeneri diversi; l'esponente dei vari tipi di orbitali degeneri indica il numero di elettroni che li occupa.

configurazione elettronica degli atomi da Z=3 a Z=11

La situazione del Li (come poi quella del Na), è simile a quella di H,; l'effetto del magnete avviene solo sull'elettrone spaiato ns1 (infatti He, con 2 elettroni antiparalleli, è magneticamente inerte).

Anche gli spettri per altri atomi hanno analogie, ma, al crescere di Z, diventano sempre più complessi.

 A questo punto, proseguendo il riempimento, poiché i 3d sono a energia leggermente superiore ai 4s, riempiremo prima i 4s e poi i 3d, anche se fanno parte del "guscio" inferiore.

Configurazione elettronica degli atomi con numero atomico da 19 a 30.

K e Ca hanno rispettivamente 1 e 2 elettroni nel 4s.

Poi, con lo scandio Sc, iniziano a riempirsi i 3d (3d1 4s2).

Seguono titanio Ti e vanadio V (3d2 4s2; 3d3 4s2).

Ma quando si arriva a Cr, che dovrebbe avere la configurazione 3d4 4s2, si nota un'anomalia: la configurazione è 3d5 4s1.

Questo avviene perché la configurazione elettronica che comporta una serie completa di orbitali degeneri completamente piena o piena a metà (cioè con un elettrone in ogni orbitale) è energeticamente favorita, tanto da utilizzare uno degli elettroni 4s per completare il quintetto.

La stessa cosa avviene con Cu, che si trova con tutti i 3d completi, utilizzando 1 elettrone 4s (configurazione 3d10 4s1). Avremo perciò due atomi con 5 elettroni 3d, Cr e Mn, e due atomi con 10 elettroni 3d, Cu e Zn.

Cr e Cu, avendo un solo elettrone s, avranno perciò comportamento chimico diverso (diverse valenze) rispetto ad altri atomi con Z vicino al loro.

configurazione elettronica degli atomi da Z=19 a Z=30

 

Solo dopo aver completato i 3d e i 4s si inizieranno a riempire i 4p, ad energia maggiore (Ga, Ge, As). Analogamente succede quando c'è da riempire, per esempio, i 4d e i 5s, o i 4f e, addirittura, i 6s, etc.

 

Quando Z è molto alto, la differenza di energia fra i vari tipi di orbitali diventa ancora minore, e potremo avere delle sequenze di configurazione piuttosto strane.

Configurazione elettronica degli atomi transuranici.

Gli orbitali 6d vengono utilizzati infatti saltuariamente; dopo l'inserimento dei 2 elettroni 7s, (che avviene col radio Ra) gli elettroni successivi vanno nei 5f o nei 6d a seconda della stabilizzazione che è possibile ottenere.

Così potremo avere in sequenza 6d2 7s2 (per il torio Th) e 5f2 6d1 7s2 (per il protoattinio Pa).

E ancora 5f4 6d1 7s2 (per il neptunio Np), 5f6 7s2 (per il plutonio Pu), 5f7 7s2 (per l'americio Am) e 5f7 6d1 7s2 (per il curio Cm).

Anche qui due configurazioni successive hanno tutti gli orbitali degeneri con un solo elettrone, cioè pieni a metà: Am e Cm. (Ricordare che gli orbitali f sono 7!).

(Rn) sta per la configurazione elettronica del radon Rn, ultimo dei gas nobili, con Z=86; la configurazione elettronica completa del Rn è la seguente:

1s22s22p63s23p63d104s24p64d104f145s25p65d106s26p6

è chiara l'utilità di usare il simbolo anziché la notazione completa.

configurazione elettronica degli atomi da Z=87a Z=103

 

Si possono notare alcune caratteristiche comuni ad alcuni atomi ed evidenziare una periodicità nelle configurazioni elettroniche degli atomi.

Per esempio, alcuni atomi hanno il guscio corrispondente completo e, dal punto di vista chimico-fisico, sono tutti gas monoatomici a temperatura e pressione ambiente, sono molto stabili chimicamente (questa mancanza di reattività ha reso molto difficile la loro scoperta), hanno energia di ionizzazione alta e affinità elettronica quasi nulla..

Sono stati perciò chiamati "gas nobili".

l'elio He (Z=2) ha guscio K completo

il neon Ne (Z=10) ha anche il guscio L completo

l'argon Ar (Z=18) ha anche il guscio M completo

il kripton Kr (Z=36) ha anche il guscio N completo

lo xenon Xe (Z=54) ha anche il guscio O completo

il radon Rn (Z=86) ha anche il guscio P completo

 

Gli atomi che li seguono (litio Li con 2s1, sodio Na con 3s1, potassio K con 4s1, rubidio Rb con 5s1, cesio Cs con 6s1, francio Fr con 7s1) hanno ognuno 1 elettrone nell'orbitale s del guscio superiore, ed hanno anch'essi caratteristiche molto simili tra loro: analogo comportamento chimico, analogo comportamento nell'esperienza di Stern e Gerlach, hanno energia di ionizzazione molto bassa e affinità elettroniche paragonabili tra loro... Sono stati chiamati "metalli alcalini".

 

Analogamente a questi, si possono riconoscere altre "classi" o famiglie di atomi, che sono dette "gruppi", come:

i "metalli alcalino-terrosi" (berillio Be, magnesio Mg, calcio Ca, bario Ba, stronzio Sr, radio Ra) con configurazione degli elettroni esterni ns2

 

o gli "alogeni" (fluoro F, cloro Cl, bromo Br, iodio I, astato At), con configurazione degli elettroni esterni ns2 np5

 

Le caratteristiche chimiche indicano che gli atomi tendono, formando legami con altri, ad assumere la configurazione elettronica del gas nobile che li precede o che li segue (poiché, come sappiamo, è una configurazione molto stabile): il comportamento chimico dipende perciò dal numero di elettroni esterni.

Così ogni atomo avrà la tendenza a legarsi con altri atomi secondo rapporti precisi (stechiometrici), che sono definiti come valenza dell'atomo.

Per esempio, con H: LiH (litio idruro), BeH2 (berillio idruro), BH3 (boro idruro), CH4 (metano), NH3 (ammoniaca), H2O (acqua), HF (acido fluoridrico).

Analoghe sequenze si possono riscontrare al crescere di Z e in composti con altri atomi oltre che con H.

Poiché H può perdere o acquistare un solo elettrone il numero di H legati ad ogni atomo è una "valenza" di quell'atomo. Notare che in ogni composto i due atomi componenti assumono formalmente la configurazione di un gas nobile (regola dell'ottetto): He oppure protone "nudo" per H, He o Ne per gli altri.

 

In base a queste osservazioni sulla periodicità delle caratteristiche elettroniche, chimiche (reattività), fisiche (per esempio stato di aggregazione), chimico-fisiche, si è cercato di organizzare gli elementi in un "sistema periodico", in cui gli elementi a configurazione elettronica simile siano allineati su colonne dette "gruppi", mentre le sequenze legate all'aufbau, cioè al riempimento dei vari gusci, sono detti "periodi".

Molti studiosi hanno cercato di farlo, per esempio: A.E.B. de Chancourtois (elica telluriana), J. W. Döbereiner (sistema delle triadi), J.A.R. Newlands (legge delle ottave).

Julius Lothar Meyer (1830-1895) ne evidenziò la periodicità in base al volume atomico, ma il merito di aver strutturato uno schema razionale, portando l'elaborazione alle estreme conseguenze (per esempio la previsione di elementi ancora sconosciuti), spetta a Dmitrij Ivanoviç Mendeleev (1834-1907)

 Egli presentò un lavoro come Faraday Lecture: "The periodical law of the chemical elements" nel 1889.

La sua tesi fu completamente accettata quando, nel giro di pochi anni, furono scoperti e identificati alcuni elementi, di cui egli aveva ipotizzato non solo l'esistenza ma anche le proprietà in base alla periodicità, e che corrispondevano perfettamente alle sue previsioni, cioè:

il gallio Ga scoperto da P.E.Lecoq de Boisbaudran 1875

lo scandio Sc scoperto da L.F.Nilson 1879

il germanio Ge scoperto da C.Winkler 1885

Dmitrij Ivanoviç Mendeleev

Mendeleev aveva infatti previsto l'esistenza del Ga (da lui chiamato ekaalluminio), dello Sc (ekaboro), del Ge (ekasilicio), in cui aveva utilizzato la radice sanscrita "eka" (che significa "uno"), dato che questi elementi venivano subito sotto, nella sua tavola periodica, di Al, B, Si.

I nomi attuali sono stati dati in onore degli stati da cui provenivano gli scopritori, Francia (Gallio), Svezia (Scandio), Germania (Germanio).

Nella sua ipotesi mancava il gruppo dei gas nobili (o gruppo zero), che, date le difficoltà di individuazione legate alla loro mancanza di reattività chimica, furono scoperti solo molto più tardi, ad opera di altri scienziati (H.P.J.Thomsen, W.Ramsay, A.Errera); questa scoperta risolse un grosso problema di collocazione degli atomi nella tabella.

 


I semiconduttori

 

Semiconduttori intrinseci

I semiconduttori naturali usati per la produzione di dispositivi elettronici sono stati per molti anni il silicio e il germanio. Il germanio è andato, con il passar del tempo, in disuso a causa delle migliori prestazioni del silicio. Ora si stanno diffondendo semiconduttori costituiti non da elementi naturali ma da leghe come l’arseniurio di gallio.

Il silicio e il germanio appartengono al gruppo del carbonio e sono tetravalenti, sono quindi in grado di formare quattro legami covalenti

In un reticolo cristallino ogni atomo di silicio è dunque legato ad altri quattro atomi.

Senza perdere in efficacia precisione possiamo immaginarci un modello del reticolo bidimensionale

Le lacune

La prima cosa che bisogna comprendere è che in un semiconduttore, a differenza dei conduttori, esistono due tipi di cariche libere: cariche libere negative costituite dagli elettroni e cariche libere positive dette lacune. Premettiamo fin da subito che le lacune, intese come cariche positive, non esistono ma costituiscono soltanto un modello molto efficace per rappresentare il comportamento dei semiconduttori.

Immaginiamo che un elettrone di valenza, coinvolto in un legame fra due atomi di silicio, acquisisca l’energia sufficiente per effettuare il salto dalla banda di valenza alla banda di conduzione. L’elettrone andrà ad arricchire la popolazione di elettroni  liberi mentre l’orbitale da cui proveniva presenterà un vuoto. Tale vuoto è quello che noi chiamiamo lacuna.

Ora accade che l’energia necessaria perché un elettrone vincolato in un legame vicino balzi nel legame semivuoto andando così ad occupare la lacuna, è molto bassa. Quindi l’effettuazione di questo salto avverrà con elevata probabilità. Se si riflette un attimo si nota come l’evento possa essere descritto dicendo che sia stata la lacuna a spostarsi in direzione opposta a quella del moto dell’elettrone.

Modelli raffinati di fisica hanno dimostrato che effettivamente si può descrivere efficacemente la fisica dei semiconduttori immaginando di avere a che fare con cariche positive libere di muoversi all’interno del reticolo cristallino. Ricordando che le lacune non sono reali cariche positive, da questo momento in poi, per la sola ragione che abbiamo un modello efficace per descrivere il comportamento dei dispositivi a semiconduttore, parleremo sempre di correnti di lacune e correnti di elettroni.

Drogaggio dei semiconduttori

I semiconduttori offrono una resistività troppo elevata per poter essere utilizzati come base dei dispositivi elettronici. Pur avendo un numero di cariche libere  superiore a quello degli isolanti , questo non è ancora sufficiente.

Per aumentare il numero di portatori di carica liberi e diminuire quindi la resistività si utilizza un procedimento, detto drogaggio, consistente nell’inserire, all’interno del reticolo cristallino del semiconduttore, elementi chimici diversi. Esistono due forme di drogaggio: tipo n e tipo p.

Drogaggio di tipo n

Con questo tipo di drogaggio ci si pone l’obiettivo di aumentare il numero di elettroni liberi. Si realizza inserendo nel reticolo cristallino del semiconduttore materiale drogante pentavalente (cinque elettroni di valenza) come il fosforo.

IL fosforo è in grado di formare cinque legami differenti, ma a causa della struttura del reticolo cristallino, esso risulta circondato da soli quattro atomi di silicio. Poiché il quinto legame non si può formare, l’elettrone superfluo, non essendo coinvolto in un orbitale di legame, abbisogna di una piccola quantità di energia per diventare libero. In pratica, per ogni atomo di fosforo che introduciamo nel reticolo del semiconduttore si introduce un elettrone libero.

Drogaggio di tipo p

Con questo tipo di drogaggio aumentiamo il numero di lacune. Si introducono nel reticolo atomi di materiale trivalente come il Boro.

Poiché il boro può realizzare tre legami soltanto, pur essendo circondato da quattro atomi di silicio, si realizza automaticamente una lacuna.

Legge dell’azione di massa

Se indichiamo con n la concentrazione di elettroni liberi nel semiconduttore (numero di elettroni liberi per cm3) e con p la concentrazione di lacune, il loro prodotto è costante secondo la relazione

 

n*p = ni2

dove ni rappresenta la concentrazione di elettroni liberi ( e di lacune visto che nel semiconduttore non drogato per ogni elettrone libero vi è una lacuna) nel semiconduttore intrinseco.

Questa legge dice in sostanza che se aumentano gli elettroni per drogaggio, la quantità delle lacune che si formano normalmente nel semiconduttore non rimanegono costante ma diminuisce. Analogamente, se aumento le lacune per drogaggio, il numero degli elettroni liberi  diminuisce.

Per capire il perché bisogna tener presente che, oltre alla formazione delle coppie elettrone-lacuna, quando un elettrone abbandona un orbitale, vi è anche un fenomeno opposto, detto ricombinazione, che si ha quando un elettrone viene catturato da un atomo e va ad occupare una lacuna.

Ora se il numero di elettroni liberi aumenta, aumenta anche la probabilità della ricombinazione per cui le lacune tendono a diminuire. Fenomeno analogo si ha con il drogaggio di tipo p.


Approfondimento 3: Fenomeni di trasporto nei semiconduttori

I fenomeni di trasporto delle cariche in un cristallo sono influenzati da un campo elettrico (corrente di deriva o drift) oppure provocati da un gradiente di concentrazione (corrente di diffusione).

Conduzione nei metalli

In un metallo gli elettroni più esterni di valenza hanno un legame praticamente nullo con ogni singolo atomo e vanno considerati più correttamente come appartenenti ad un orbitale gigantesco che interessi l’intero reticolo cristallino. In termini di bande di energia possiamo dire che la banda occupata dagli elettroni di valenza non è completamente occupata e non vi sono livelli proibiti alle energie più elevate. Il risultato è che molti elettroni (almeno uno per atomo) risultano in grado di muoversi all’interno del metallo. Il metallo può essere allora descritto come un reticolo di ioni vincolati permeato da uno sciame di elettroni liberi rimuoversi (modello del gas elettronico).

In assenza di agenti esterni gli elettroni sono in moto casuale caratterizzato da continui urti con gli ioni.

Si dice cammino libero medio la distanza media percorsa da un elettrone fra due collisioni successive. Poiché il moto di tutti gli elettroni è casuale si ha una corrente media nulla.

In presenza di un campo elettrico esterno gli elettroni vengono accelerati in una direzione privilegiata determinata dalla direzione del campo elettrico. Gli elettroni non vengono accelerati  indefinitamente cioè la loro velocità non può crescere all’infinito poiché cedono energia al reticolo cristallino a causa degli urti con gli ioni.

A regime gli elettroni raggiungono una velocità finita detta velocità di deriva. Tale velocità sarà in modulo proporzionale all’intensità del campo elettrico

Il coefficiente μ si misura in

ed è detto mobilità dell’elettrone.

Se in un tratto di conduttore di lunghezza L vi sono N elettroni e se questi impiegano un tempo T per percorrere una distanza pari ad L, il numero totale di elettroni che attraverseranno una sezione trasversale del conduttore nell’unità di tempo è pari a N/T quindi la corrente vale

dove v è la velocità di deriva.

Introdotta la densità di corrente o corrente per unità di superficie si ha

dove S è la sezione del conduttore. Ma LS è il volume del conduttore per cui N/LS è la densità degli elettroni (numero di elettroni liberi per unità di volume) per cui

dove n è la concentrazione degli elettroni e ρ è la densità di carica (in coulomb per metro cubo) .

Poiché

introduciamo la conduttività del metallo

Che si esprime in

Massa efficace

Applicando la meccanica quantistica per studiare il moto di un elettrone libero o di una lacuna in un cristallo si trova che è possibile trattare sia l’elettrone libero che la lacuna come particelle classiche fittizie con massa efficace  positiva mn ed mp rispettivamente. Questa approssimazione risulta valida se i campi applicati sono assai più deboli dei campi periodici interni creati dagli ioni del reticolo cristallino. L’approssimazione delle masse efficaci rimuove l’aspetto quantistico del problema e consente un approccio classico per la determinazione dell’effetto dei campi elettrici esterni su elettroni liberi e lacune.

Densità di carica in un semiconduttore

Abbiamo avuto modo di incontrare l’equazione

che lega la concentrazione n degli elettroni e p delle lacune. Queste concentrazioni sono anche legate dalla legge di neutralità elettrica. Sia ND  la concentrazione di atomi donatori.  Poiché ogni atomo donatore praticamente ionizza la densità totale di cariche positive sarà data da

ND+p

In maniera analoga la densità di carica negativa sarà data da

NA+n

dove NA è la concentrazione di atomi accettori. Poiché il semiconduttore deve essere complessivamente neutro deve essere

ND+p = NA+n

In un semiconduttore drogato di tipo n sarà NA= 0 e inoltre n >> p per cui

nn≈ND

quindi in un semiconduttore drogato di tipo n la concentrazione degli elettroni liberi è approssimativamente pari alla densità degli atomi donatori. La concentrazione di lacune sarà data da

In maniera analoga in un semiconduttore drogato di tipo p si avrà

 

pp≈NA

Conduttività nei semiconduttori

 

Nel caso di un semiconduttore introduciamo una mobilità μn per gli elettroni ed una mobilità μp per le lacune. Queste particelle, in presenza di un campo elettrico E si muovono in direzioni opposte, per cui essendo di carica opposta, danno contributi che si sommano alla corrente. La densità di corrente sarà espressa da

Concentrazione intrinseca

Al crescere della temperatura la densità delle coppie elettone libero-lacuna aumenta e corrispondentemente aumenta la conduttività.

Si può dimostrare che

dove EGO è l’ampiezza del gap a o gradi kelvin, k è la costante di Boltzmann e A0  è una costante indipendente da T. Nella  tabella seguente confrontiamo, per le grandezze introdotte il germanio e il silicio

Proprietà

Germanio

Silicio

EGO (elettronvolt a 0 K)

0,785

1,21

EG (elettronvolt a 300 K)

0,72

1,1

ni a 300 K per centimetro cubo

2,5 x 1013

1,5 x 1010

μn in cm2/Vs a 300 K

3800

1300

μp in cm2/Vs a 300 K

1800

500

Ampiezza della banda di energie proibite

L’ampiezza EG della banda di energie proibite in un semiconduttore dipende dalla temperatura.

Nel silicio si trova  sperimentalmente che

 

e alla temperatura di 300 K EG =1,1 eV.

Analogamente per il germanio

e alla temperatura di 300 K EG =0,72 eV.

La mobilità μ varia come T-m  entro un campo di temperature compreso fra 100 e 400 K. Si trova inoltre che la mobilità è funzione dell’intensità del campo elettrico e rimane costante solo se E<103 V/cm nel silicio drogato di tipo n.

Effetto Hall

Se un campione di metallo o di semiconduttore , percorso da una corrente I è posto in un campo magnetico trasversale B, viene indotto un campo E in direzione perpendicolare sia ad I che a B. Questo fenomeno è detto effetto Hall e viene utilizzato per determinare se un semiconduttore è di tipo p o di tipo n e per trovare la concentrazione dei portatori. Inoltre, misurando contemporaneamente la conduttività σ, è possibile calcolare la mobilità μ.

Se nella figura superiore supponiamo che la corrente sia in direzione positiva dell’asse x e il campo B nella direzione positiva dell’asse z, sui portatori di carica si eserciterà una forza diretta nella direzione negativa dell’asse y.

Immagine:Hall effect.png

Se il semiconduttore è di tipo n , per cui la corrente è composta di elettroni, si avrà un accumulo di cariche negative sul lato sinistro per cui si manifesta una differenza di potenziale detta tensione di Hall con polarità positiva diretta verso destra.

Se la polarità della tensione di Hall è invertita vuol dire che la corrente si compone di lacune e siamo di fronte ad un semiconduttore di tipo p. Questo esperimento conferma il fatto che la lacuna si comporta come un portatore di carica positivo libero di tipo classico.

In condizioni di equilibrio il campo elettrico E dovuto all’effetto Hall deve equilibrare la forza esercitata dal campo magnetico per cui

qE=Bqv

dove q è la carica dei portatori e v è la velocità di deriva.

Ora

Se si misurano VH, B, I e d si può determinare la densità di carica. Poiché

misurando la conduttività si può determinare la mobilità.

Modulazione della conduttività

Dato che la conduttività di un semiconduttore è proporzionale alla concentrazione dei portatori liberi, essa può essere fatta aumentare aumentando n o p. I due metodi più importanti consistono nella variazione della temperatura e nell’illuminazione dei semiconduttori, poiché entrambi i fenomeni provocano la generazione di nuove coppie lacuna-elettrone.

Termistori

In base all’equazione precedentemente introdotta si trova che la conduttività del germanio aumenta approssimativamente del 6% per ogni grado di aumento della temperatura mentre il silicio aumenta del 8%. Una variazione così ampia pone normalmente dei limiti all’uso dei dispositivi a semiconduttore ma in altre applicazioni è proprio questa proprietà ad essere utilizzata per realizzare i cosiddetti termistori utilizzabili ad esempio in applicazioni di termometria.

 

Immagine:NTC bead.jpg

 

Fotoconduttori

Se un semiconduttore è esposto ad una pioggia di radiazioni la sua conduttività aumenta.

 

L’energia della radiazione fornita al semiconduttore ionizza i legami covalenti: i legami vengono spezzati e si formano coppie lacuna-elettrone in eccesso rispetto a quelle generate termicamente. Tale aumento di portatori di carica fa diminuire la resistenza del materiale  e quindi questi dispositivi vengono chiamati fotoresistori o fotoconduttori.

La minima energia richiesta ad un fotone per l’eccitazione è rappresentata dall’energia della banda proibita del semiconduttore. La lunghezza d’onda del fotone la cui energia corrisponde ad EG, se è espressa in micron ed E in elettronvolt è data dall’equazione


Se la lunghezza d’onda della radiazione incidente è superiore a tale valore allora l’energia del fotone è minore dell’ampiezza della banda proibita per cui il fotone non riesce a portare un elettrone in banda di conduzione
. Si parla allora di lunghezza d’onda critica.

Nella figura seguente è rappresentata la curva di sensibilità spettrale del silicio che mostra come i fotoconduttori sono dispositivi selettivi in frequenza. Questo significa che una certa intensità di luce ad una certa lunghezza d’onda non genera lo stesso numero di portatori liberi della stessa intensità di luce ad una lunghezza d’onda diversa.

Un’applicazione del fenomeno è quella dell’utilizzazione dell’energia solare mediante celle fotovoltaiche

Immagine:4inch poly solar cell.jpg

Generazione e ricombinazione delle cariche

Abbiamo visto che in un semiconduttore intrinseco il numero delle lacune è uguale al numero di elettroni liberi. Comunque l’agitazione termica continua a generare nuove coppie elettrone-lacuna, mentre altre coppie scompaiono a causa della ricombinazione (fenomeno per il quale elettroni liberi cadono entro legami covalenti non saturi con la conseguente perdita di una coppia di portatori di carica mobili). In media una lacuna sussisterà per un tempo τp ed un elettrone sussisterà per un tempo τn prima di ricombinarsi. Questo tempo prende il nome di tempo di vita medio.

E’ un parametro importante perché esso rappresenta il tempo necessario perché delle concentrazioni di elettroni e di lacune che abbiano subito delle variazioni ritornino ai loro valori di equilibrio.

Corrente di diffusione

 

Le cariche libere di un qualunque elemento, per effetto della agitazione termica, si muovono con una velocità media

Questo moto caotico non produce effetti, muovendosi le cariche in tutte le direzioni, per cui la corrente risultante è necessariamente nulla.

Se, però, abbiamo una distribuzione di cariche non uniforme esse tenderanno a disporsi in maniera da equilibrare la densità in ogni punto, per cui avremo una corrente risultante dovuta al moto delle cariche da zone con densità maggiori a quelle con densità minori.

Si parlerà in questo caso di "corrente di diffusione", del tutto spontanea, che si annullerà non appena raggiunta una condizione di equilibrio.

Per gli elettroni e le lacune possiamo esprimere tale corrente di diffusione con

Il segno meno è dovuto al verso convenzionale della corrente, tenendo conto della carica negativa degli elettroni. I coefficienti di diffusione Dn e Dp sono legati alla mobilità tramite

Come si può notare , tali coefficienti dipendono essenzialmente dalla temperatura e non sono particolarmente elevati.

 


 

 

Produzione dei dispositivi a semiconduttore

Produzione del silicio

Purificazione chimica

Iniziamo con la descrizione dei metodi che portano alla produzione dei cristalli di  silicio da utilizzare per la produzione dei dispositivi a semiconduttore. Innanzitutto si ha la produzione di silicio metallurgico ricavato dalla silice (SiO2). Dopo l’ossigeno, il silicio,  è l’elemento più diffuso sulla crosta terrestre (28%). Allo stato puro ha struttura cristallina simile a quella del diamante. Per ottenere il silicio si parte da sabbia di rocce silicee e quarzose. Attraverso processi di riduzione, la silice, in fase di fusione perde atomi di carbonio che vengono assimilati da sostanze riducenti (sodio, carbone). La tecnica sviluppata per trasformare il SiO2 in Si è la carboriduzione: nei forni ad arco sommerso, a temperature superiori a quelle di fusione del silicio (1550°C), viene prodotta la reazione “SiO2 + 2C ->  Si + 2CO”. La sabbia e i cristalli di quarzite vengono sistemati in un crogiolo di grafite; il crogiolo viene inserito in una camera (la “carcassa” del forno), e al suo interno vengono immersi due elettrodi di grafite; durante il funzionamento si crea un arco elettrico sommerso, e il Si liquido che si forma cola, attraverso un opportuno becco, in una lingottiera dove poi solidifica in silicio metallurgico. Questo presenta ancora una percentuale di impurità eccessive per cui tramite gassificazione e due reazioni chimiche avviene il processo Siemens. I blocchi di silicio metallurgico vengono inseriti in un reattore a letto fluido. Nel reattore viene immesso HCl in forma gassosa. Avviene così la reazione dominante “Si + 3HCl = SiHCl3 + H2”, nella quale

vengono prodotti idrogeno e triclorosilano. Il triclorosilano (aeriforme) fluisce in un filtro e poi nel reattore CVD (Chemical Vapor Deposition). Qui, tramite l’immissione di H2 nel reattore, avviene la deposizione catalitica del silicio, secondo la reazione “SiHCl3 + H2 = Si + 3HCl”. In entrambi i reattori la temperatura raggiunge i 1375°K. A seguito della dissociazione del triclorosilano si forma nuovamente silicio.

Il processo passa attraverso due macchine: il reattore a letto fluido e il reattore CVD.

Purificazione fisica

Un ulteriore operazione è la purificazione fisica del silicio per eliminare ulteriori impurità mediante il metodo di raffinazione a zone. Questo metodo si basa sul fenomeno secondo il quale le impurità contenute nel silicio tendono a fondere più facilmente del silicio.  L’apparecchiatura per tale processo è rappresentata in figura seguente. Il lingotto di silicio viene agganciato verticalmente mediante un mandrino in un forno a radiofrequenze, in cui si ottiene il riscaldamento del silicio mediante onde elettromagnetiche emesse da una bobina che circonda il forno. Tali onde creano correnti parassite all’interno del lingotto di silicio, che riscaldano il silicio per effetto joule. Il silicio liquido scorre lungo al superficie del lingotto e si accumula verso il basso. Il silicio ha una elevata tensione superficiale per cui il silicio liquido rimane collegato al lingotto. Con successivo raffreddamento abbiamo l’effetto complessivo di un allungamento del lingotto in cui le impurità si sono accumulate all’estremità della barretta. Il lingotto viene poi segato per eliminare questa estremità. Il procedimento viene seguito per tre, quattro volte.

Formazione dei monocristalli

A causa dello stress provocato al lingotto da tutti i trattamenti descritti, esso presenta una struttura policristallina, cioè risulta suddiviso in una pluralità di zone, ciascuna delle quali presenta una propria organizzazione cristallina. L’irregolarità di questa struttura rende elevata la resistività del materiale. Per ridurre la resistività della barretta di silicio occorre dunque fare in modo che essa abbia una struttura ordinata formata da un solo cristallo (struttura monocristallina).

Il primo metodo è il metodo Czochralsky che utilizza la struttura seguente

esso si basa sul principio che se si fa solidificare lentamente un materiale cristallino intorno ad un seme di cristallo regolare dello stesso materiale, il materiale tende a solidificare assumendo la struttura del seme. Immaginate, ad esempio , di recarvi allo sportello di un ufficio e trovare una fila ben ordinata. Troverete che le persone che via via sopraggiungono tendono a mettersi ordinatamente in fila seguendo l’organizzazione delle persone già in fila. Naturalmente devono essere rispettate le condizioni che le persone che sopraggiungono siano educate e che sopraggiungano abbastanza lentamente: se arrivasse all’improvviso una massa preponderante di persone nell’ufficio è difficile pensare che le nuove persone si organizzino in maniera regolare. Nel metodo Czochralsky il seme è collegato ad un mandrino in un forno a radiofrequenza e posto a contatto con il silicio liquido presente in un crogiolo di grafite. Il seme viene fatto sollevare molto lentamente e il silicio liquido si solidifica intorno ad esso formando alla fine un lingotto monocristallino.

Il lingotto monocristallino subisce poi una serie di lavorazioni che lo portano ad essere trasformato in lamine dette wafer utilizzate per la realizzazione dei dispositivi a semiconduttore.

Tecnologia della giunzione pn

Vediamo come si realizza una giunzione pn.

Diffusione

Un primo metodo per il drogaggio dei wafer di silicio è quello della diffusione allo stato solido. Questo metodo si basa sul fatto che nel reticolo cristallino del silicio si possono trovare dei difetti reticolari detti vacanze consistenti nell’assenza di atomi di silicio. Questi spazi lasciati nel reticolo possono essere occupati da atomi di impurità drogante , che si fanno diffondere nella barretta di silicio. Tale processo avviene

Forno a diffusione

ponendo il wafer di silicio in un forno a diffusione nel quale è presente anche il materiale drogante che è stato gassificato. Gli atomi di impurità si depositano sul wafer e diffondono al suo interno. La capacità che hanno le impurità di diffondere all’interno del wafer dipende dalla temperatura alla quale si fa avvenire il processo che è di circa 1000 gradi centigradi. Questo processo prende anche il nome di diffusione a sorgente illimitata.

Come si può vedere dalla figura precedente, più dura il procedimento più omogenea è la distribuzione delle impurità nella barretta (sull’asse delle ordinate abbiamo la concentrazione delle impurità espressa in numero di atomi per centimetro cubo e sull’asse delle ascisse abbiamo la distanza x dalla superficie del wafer). In ogni caso notiamo che la disomogeneità della concentrazione è comunque rilevante. Per questo motivo si fa spesso uso del procedimento di diffusione a sorgente limitata, che consiste nell’effettuare prima una diffusione a sorgente illimitata, poi il wafer viene riscaldato fino a 1200 gradi in assenza del materiale drogante in modo che gli atomi di impurità si ridistribuiscano per agitazione cinetica nel wafer ottenendo i profili della figura seguente dove t è la durata del processo e t2>t1.

Formazione delle giunzioni per sovracompensazione

Vediamo ora come si possono ottenere le giunzioni. Il concetto fondamentale è che, se si ha un wafer drogato con impurità di un certo tipo, ad esempio p, se si effettua un nuovo drogaggio di tipo opposto facendo in modo da ottenere una concentrazione di impurità droganti n superiore a quello di tipo p, si ha una sovracompensazione di elettroni rispetto alle lacune e si inverte il tipo di drogaggio di quel wafer. Supponiamo allora di voler realizzare un transistor npn e procediamo come nella figura seguente.

In una prima fase viene effettuato un drogaggio di tutta la barretta di tipo n in modo che la concentrazione delle impurità sia praticamente costante lungo tutta la barretta (concentrazione ND0). Si effettua poi una seconda diffusione di tipo p con un profilo non omogeneo (NA1). Laddove NA1 supera ND0 si ha una zona drogata complessivamente di tipo p (poiché le lacune prevalgono sugli elettroni). Si forma una giunzione nel punto in cui le due concentrazioni si equilibrano. Si effettua infine una terza diffusione (ND2) con un profilo di concentrazione ancora più ripido. Nella zona in cui questa supera la concentrazione di atomi droganti di tipo p, il wafer diventa di nuovo di tipo n. Il punto in cui la somma delle due concentrazioni di atomi donatori supera quella di atomi accettori si forma la seconda giunzione. 

Diffusione in oro

Spesso il processo di diffusione viene utilizzato anche per diffondere nei wafer degli atomi di oro. In questo caso l’oro non ha la funzione di aumentare lacune o elettroni. Gli atomi di oro hanno la proprietà di far aumentare la velocità del processo di ricombinazione. Poiché per i dispositivi a semiconduttore, per commutare da saturazione ad interdizione, si deve attendere che le giunzioni si svuotino, la presenza di atomi di oro rende il procedimento di svuotamento più rapido e quindi più veloci le commutazioni.

Crescita epitassiale

Il procedimento della crescita epitassiale consiste nel far depositare strati di atomi di silicio, misto con impurità droganti, proveniente da materiali in fase gassosa sulla superficie di un wafer monocristallino di silicio che funge da seme.

La epitassia da fase di vapore o CVD (chemical vapor deposition): in una camera di reazione riscaldata mediante bobine a radiofrequenza i wafer di silicio vengono esposti a gas inerti che trascinano sostanze in fase gassosa contenenti silicio come il tetracloruro di silicio SiCl4  o silano SiH4. Alla temperatura del processo (compresa fra 1000 e 1200 gradi centigradi) le molecole di tali sostanze si scompongono e gli atomi di silicio si depositano sul substrato. Per aggiungere impurità droganti si possono introdurre nella camera anche gas come la fosfina PH3 (per fornire fosforo) o l’arsina AsH3 (per fornire arsenico) se volgiamo drogaggi di tipo n, e diborano B2H6 per fornire boro e quindi avere drogaggi di tipo p.

Abbiamo anche l’epitassia a fascio molecolare o MBE molecolar beam epitaxy. Questa tecnica è sostanzialmente identica alla precedente. L’unica differenza consiste nel fatto che il materiale gassoso drogante si ottiene bombardando con un fascio di ioni barrette di silicio e materiali droganti. Con questo procedimento si ha il vantaggio di poter procedere a temperature più basse ( dai 400 agli 800 gradi) ed inoltre poter controllare l’accrescimento dello strato epitassiale e il suo drogaggio poiché controllando la potenza del fascio possiamo anche controllare con precisione la quantità di silicio e materiali droganti in forma gassosa mettiamo a disposizione del processo.

Figura 1 Immagini di un impianto MBE

La tecnica della crescita epitassiale è migliore rispetto a quella per diffusione in quanto consente di ottenere profili di concentrazione più omogenei lungo le barrette di silicio. Lo svantaggio è che non si possono ottenere wafer di spessore troppo elevato (dell’ordine delle decine di micrometri) poiché altrimenti non si può garantire che gli strati epitassiali siano monocristallino.

Impiantazione ionica

Per dispositivi di spessore particolarmente limitato diventa difficile eseguire con precisione le operazioni di drogaggio. Ciò ha dato luogo alla diffusione di nuove tecniche come l’impiantazione ionica. In questa tecnica, le sostanze droganti vengono trasformate in ioni (dotati quindi di carica elettrica) che possono essere accelerati da campi magnetici.

Un impiantatore è una macchina capace di fornire agli ioni una energia che può essere compresa nell’ intervallo che va da alcune centinaia di KeV  fino ad al limite di qualche MeV. Questo equivale in linea generale alla possibilità di modificare le proprietà dei substrati sottoposti al processo, per profondità pari ad alcuni micron al di sotto della superficie di interazione. Si possono identificare cinque parti essenziali all’ interno di queste macchine così come presentato nella figura precedente:

sorgente

è una camera in cui vengono ionizzati materiali, che possono presentarsi in forma solida o gassosa. Tale processo avviene mediante evaporazione o sublimazione del materiale ed il suo successivo bombardamento con elettroni appositamente accelerati oppure con l’ utilizzo di un processo di sputtering (generazione di ioni bombardando con altri ioni – vedi figure seguenti) alimentato da un opportuno plasma.

La quantità di ioni prodotti all’ interno della sorgente va a determinare la corrente ionica presente sul bersaglio durante l’ impiantazione.

Elettrodi di accelerazione

Tramite questi elettrodi, posti ad un potenziale fissato, viene stabilita l’ energia ceduta al fascio ionico e la sua focalizzazione sul bersaglio.

Magnete di separazione

Gli ioni che vengono estratti dalla sorgente possono contenere in generale, elementi diversi da quelli che si desidera utilizzare nel processo di impiantazione. E’ necessario perciò provvedere ad una analisi del fascio ionico, onde selezionare la specie di interesse dalle altre. A tal fine si utilizza un magnete, che deviando ciascun ione secondo una formula che implica la massa consente di ottenere la selezione desiderata tra ioni diversi per massa o carica.

Camera di collisione

In questa camera viene introdotto il substrato che deve subire il processo di impiantazione ionica. Il controllo di questo è affidato ad un sistema di misura della carica totale incidente che viene a fissare la dose totale di ioni introdotti (atomi/cm2).

Tecnologia planare

Nella realizzazione di dispostivi elettronici le zone con drogaggi diversi da realizzare devono avere localizzazioni diverse nel wafer. Ad esempio per realizzare un transistor bipolare dobbiamo ottenere un’organizzazione come quella in figura

per ottenere le varie zone di emettitore, base e collettore. Per ottenere queste zone si deve fare in modo che i processi di drogaggio non interessino tutto il wafer ma soltanto alcune zone. Ciò si ottiene con la tecnologia planare. Tale tecnologia si compone di più fasi.

Nella prima fase di ossidazione si fa crescere uno strato di ossido sulla superficie del wafer riscaldando lo stesso in un forno  in presenza di vapor acqueo e ossigeno. Si ha poi il processo fotolitografico. Con tecniche assistite al computer viene realizzato il disegno o pattern delle finestre che devono essere aperte sulla superficie dell’ossido per effettuare il drogaggio. Il disegno viene ridotto mediante tecniche fotografiche e trasferito su una maschera di materiale vetroso (detta reticolo). Tale maschera è una sorta di negativo nel senso che riporta con zone opache le zone dell’ossido da asportare.

a questo punto si depone sulla superficie del wafer una pellicola di una sostanza sensibile alla luce detta fotoresist.

Il fotoresist ha la proprietà di polimerizzare, in sostanza di  diventare una sostanza dura e resistente se sottoposto all’azione di raggi ultravioletti. Allora la maschera viene posta sopra lo strato di resist e il tutto viene sottoposto all’azione dei raggi ultravioletti.

Dopo viene tolta la maschera e si asporta il fotoresist che non ha polimerizzato, corrispondente alle zone opache della maschera, mediante un solvente chimico come il tricoloretilene. Il successivo passo consiste in un attacco chimico mediante acido fluoridrico. Gli strati di ossido che non sono coperti dal fotoresist polimerizzato verranno asportati lasciando scoperte le zone del wafer che si vogliono drogare. Successivamente si asportano i residui di fotoresist e si ricrea lo strato di ossido per realizzare nuove maschere ed effettuare nuovi drogaggi.


Un’applicazione - Il transistor JFET

I transistor JFET sono transistor unipolari, in cui, cioè, abbiamo solo correnti di lacune o solo correnti di elettroni.

Il termine JFET sta per junction field effect transistor.

La struttura di principio di un JFET è la seguente

Abbiamo una barretta di silicio drogata in maniera omogenea: se il drogaggio è di tipo n ci troviamo di fronte ad un JFET a canale N, in caso opposto ci troviamo di fronte ad un JFET a canale P. Come si può notare dalla figura, nel JFET a canale N sono realizzate due isole di tipo p, mentre nel JFET a canale P sono realizzate due isole di tipo N.

Al canale sono collegati due elettrodi denominati Source e Drain. Le due isole drogate in maniera diversa dal canale sono collegate a due morsetti detti di Gate. In realtà il dispositivo presenta tre morsetti poiché i due morsetti di gate sono collegati in un unico morsetto di Gate esterno.

Per spiegare la struttura del dispositivo facciamo riferimento al JFET a canale N, poiché il discorso è del tutto equivalente per l’altro tipo di dispositivo.

Supponiamo inizialmente di collegare soltanto una batteria fra Source e Drain. I nomi dati ai morsetti indicano che vogliamo che si generi una corrente di portatori di carica che nel nostro esempio sono elettroni, che vada dal Source al Drain. Nel nostro esempio dobbiamo necessariamente introdurre una batteria fra Source e Drain con il morsetto positivo collegato al Drain. In sostanza dobbiamo introdurre una tensione VDS>0.

Come si comporta, in tal caso il dispositivo? Ci troviamo di fronte ad una barretta di semiconduttore drogata omogeneamente, per cui ricca di portatori di carica, che si comporta dunque come un corpo conduttore, che offre una resistenza che dipende dalla lunghezza del canale, dalla sua sezione, dalla resistività, cioè dalla ricchezza del drogaggio. Il legame fra la VDS e la corrente di drain ID sarà dunque espresso dalla legge di Ohm. Graficamente tale legame sarà rappresentato da una retta.

Colleghiamo ora una batteria fra Source e Gate, con il positivo verso il Source.

Ponendo la batteria in questo modo, le due giunzioni pn presenti nel dispositivo vengono polarizzate inversamente per cui si creano due zone di svuotamento che penetrano nel canale riducendo la regione in cui si trovano elettroni, sede della corrente. Riducendosi la sezione del canale aumenta la resistenza offerta dal dispositivo, per cui la caratteristica che lega tensione VDS e corrente ID è ancora una retta ma che forma un angolo minore con l’asse delle ascisse. Al crescere del valore assoluto della tensione VGS aumenta ancora la zona di svuotamento, si riduce ancora  l’ampiezza del canale e aumenta ancora di più la resistenza offerta dal JFET. Il legame fra VDS e ID, dunque, non è univoco, ma dipende dal valore della VGS .

Possiamo dire dunque che il JFET si comporta come un resistore di cui, però, possiamo modificare la resistenza comandandolo con la tensione VGS.

Questo però, non è sempre vero, ma vale per bassi valori della VDS. Al crescere di tale tensione, infatti, si scopre che le caratteristiche non restano rettilinee ma cominciano ad incurvarsi fino a diventare orizzontali.

Per spiegare tale fenomeno, per semplicità consideriamo la caratteristica per VGS=0. Cortocircuitiamo dunque Source e Gate.

A questo punto consideriamo un punto qualsiasi A nel canale. Questo punto si troverà ad una certa tensione VAS positiva rispetto al Source: ora il fatto che Source e Gate sono cortocircuitati comporta che tale punto A si troverà a tensione positiva anche rispetto al Gate. Questo significa che, anche se non inseriamo una batteria fra Gate e Source, già la VDS fa in modo che i punti del canale si trovino a tensione superiore rispetto al Gate. Inoltre va tenuto presente che, più ci si avvicina al Drain più aumenta la tensione esistente fra i punti del canale e il Source. Quindi più ci si avvicina al Drain e più aumenta la tensione fra i punti del canale e la zona di Gate. In definitiva abbiamo che anche la VDS fa polarizzare inversamente le giunzioni pn creando delle

zone di svuotamento che crescono andando verso il Drain.

Se i valori della VDS sono ancora piccoli, tali zone di svuotamento non sono tali da ridurre significativamente l’ampiezza del canale e il dispositivo mostra una resistenza costante (zona a caratteristica rettilinea). Ma quando la VDS aumenta, le zone di svuotamento che essa crea diminuiscono significativamente l’ampiezza del canale, per cui all’aumentare della tensione, il canale tende a restringersi sempre di più e la sua resistenza comincia ad aumentare (zona in cui la caratteristica si storzella). Esisterà un valore di tensione VDS per il quale le due zone di svuotamento crescono tanto da toccarsi distruggendo completamente il canale: questa tensione è detta tensione di pinch-off ed in corrispondenza di essa la corrente ID diventa quasi costante e la caratteristica diventa quasi orizzontale. Ma se si è distrutto il canale è come se la resistenza fosse diventata infinita, cioè la corrente dovrebbe annullarsi. Da questo momento in poi ci troviamo in una condizione di equilibrio dinamico. Se, infatti al corrente diminuisse vorrebbe dire che la tensione nel canale dovrebbe diminuire: tenete presente che vale la legge di ohm, per cui nel canale abbiamo una caduta di tensione pari alla resistenza di ogni tratto del canale per la corrente che passa (vedi figura)

 

se diminuisse la corrente diminuirebbe dunque la tensione lungo il canale, ma poiché source e gate sono sempre cortocircuitati, diminuirebbe anche la tensione fra punti del canale e gate, per cui le zone di svuotamento si ridurrebbero e il canale si riaprirebbe. A questo punto la corrente potrebbe aumentare di nuovo essendosi riaperto il canale, ma ciò comporterebbe un aumento delle cadute di tensione nel canale, e quindi delle tensioni fra canale e gate, con un nuovo aumento dello spessore delle zone di svuotamento,ecc. Insomma la corrente ID non può né aumentare né diminuire per cui diventa quasi costante e dipende debolmente dalla tensione VDS.

Abbiamo spiegato dunque, perché la caratteristica che lega ID e VDS, per VGS nulla, non è sempre rettilinea. Ma cosa succede quando sono presenti entrambe le batterie?

Nulla di diverso. Si ha una sovrapposizione degli effetti provocati singolarmente dalle batterie quando agiscono da sole. Si hanno zone di svuotamento a cuneo che sono più ampie di quelle che provocherebbe la sola VDS, poiché vi è anche il contributo della VGS.

Notiamo esplicitamente che, come nel caso del BJT, anche il JFET si può montare in più maniere differenti. Se lo montiamo nella maniera seguente

abbiamo il montaggio a source comune che corrisponde al montaggio ad emettitore comune del BJT, ed è utilizzato per fare del JFET un amplificatore di segnali. Notiamo esplicitamente che, in questo montaggio, le grandezze di uscita sono la tensione VDS e la corrente ID, per cui quelle che abbiamo tracciate prima sono le caratteristiche di uscita. Le grandezze di ingresso dovrebbero essere la VGS e la IG. In tal caso, però, non abbiamo una caratteristica di ingresso come nel caso del BJT, poiché la corrente di gate è nulla (per la precisione è una piccolissima corrente dovuta ai portatori di carica minoritari che attraversano la giunzione fra gate e canale), in quanto, come abbiamo implicitamente dimostrato nel corso della trattazione, tale dispositivo va utilizzato tenendo sempre le giunzioni di gate in polarizzazione inversa.

Il simbolo circuitale di un JFET a canale n è il seguente

Il simbolo di transistor JFET a canale P è invece il seguente

 


Un’applicazione - Il transistor MOSFET

MOSFET enhancement mode

Anche questo transistor è unipolare. Il suo nome è un acronimo per Metal Oxide Semiconductor Field Effect Transistor.  La struttura di principio del dispositivo è rappresentata nella figura seguente

Anche nel caso del MOSFET abbiamo due tipi di transistor: a canale n e a canale p. Quello rappresentato in figura è il MOS a canale n. La struttura di principio del MOS a canale P si ottiene semplicemente invertendo il drogaggio delle diverse zone individuate nel dispositivo. Come al solito descriviamo il dispositivo facendo riferimento soltanto ad una delle tipologie possibili, quella a canale n.

Come si può notare dalla figura, abbiamo una barretta intrinseca (cioè non drogata) o drogata di tipo p, detta substrato. Nella parte superiore del substrato sono ricavate due zone drogate di tipo n. In corrispondenza di tali zone sono realizzati dei contatti metallici per ricavare i morsetti rispettivamente di Source e Drain. Fra i due morsetti, al di sopra del substrato è realizzato uno strato di diossido di silicio (SiO2). Tale strato di ossido ha proprietà isolanti, è un dielettrico. Al di sopra dello strato di ossido abbiamo un ulteriore elettrodo detto di Gate.

Anche se non appare in figura, anche il substrato è in genere metallizzato e collegato al morsetto di Source.

A differenza del JFET se colleghiamo una batteria fra Source e Drain del MOSFET, non abbiamo un passaggio di corrente, poiché il percorso fra i due elettrodi non è drogato in maniera omogenea, ma abbiamo due giunzioni pn, la prima fra zona di Source e substrato e la seconda fra substrato e Drain. Se volessimo far passare una corrente di elettroni fra S e D, dovremmo porre una batteria fra i due elettrodi col positivo verso il morsetto D polarizzando inversamente la seconda giunzione. Se invertissimo i collegamenti della batteria verrebbe polarizzata inversamente la prima giunzione. In entrambi i casi non avremmo passaggio di correnti apprezzabili.

Per consentire la circolazione di corrente dovremo porre una batteria fra Source e Gate in modo da portare il Gate a tensione superiore rispetto al Source e al substrato.

Ora basta notare che il sistema costituito dall’elettrodo di Gate e dal semiconduttore con lo strato di dielettrico interposto, costituisce una sorta di condensatore in cui si genera un campo elettrico le cui linee di forza vanno dal Gate al substrato. Tale campo elettrico attira elettroni dalle due zone n, al di sotto dello strato di diossido di silicio. L’arrivo di un sufficiente numero di elettroni in tale regione comporta la creazione di una zona di tipo N nel substrato che collega la zona di Source e la zona di Drain. Questa zona si troverà a tensione superiore rispetto al resto del substrato quindi si avrà una nuova giunzione polarizzata inversamente con relativa zona di svuotamento che la isolerà dal resto del substrato.

La zona ricca di elettroni che si è formata prende il nome di strato di inversione di carica proprio ad indicare che da zona P, grazie all’arrivo di elettroni, è diventata zona N.

Adesso si è realizzato un canale fra il Source e il Drain che consente il passaggio di corrente, inserendo una batteria fra i due morsetti, in modo da avere una tensione VDS>0. Come nel caso del JFET, per piccoli valori della tensione VDS si ha un comportamento lineare del dispositivo. Esso si comporta sostanzialmente come una resistenza il cui valore dipende dalla lunghezza del canale e dalla sua sezione. 

Al crescere della tensione VGS il canale si arricchisce sempre più di elettroni, la resistenza che esso offre diventa sempre più piccola e la caratteristica che lega ID e la VDS ruota in direzione dell’asse delle ordinate.

Anche nel caso del MOSFET notiamo che le caratteristiche si mantengono costanti soltanto per piccoli valori di VDS mentre tendono a incurvarsi e diventare quasi parallele all’asse delle ascisse

Per spiegare questo fenomeno consideriamo separatamente gli effetti delle due batterie. Se consideriamo VGS>0 e VDS=0 abbiamo tensioni che vanno dal substrato al gate

tali tensioni sono costanti lungo tutto il canale. Consideriamo ora VGS=0 e VDS>0. In tal caso vuol dire che Source e Gate sono cortocircuitati. Si può fare allora lo stesso ragionamento fatto per il JFET e giungere alla conclusione che se i punti del canale si trovano a tensione superiore rispetto al Source, essi si trovano a tensione superiore anche rispetto al Gate. Tali tensioni poi aumentano in modulo via via che procediamo verso il drain

Se consideriamo l’effetto complessivo delle due batterie, abbiamo che la tensione fra il gate e i punti del canale diminuisce sempre più avvicinandosi al drain per cui il canale non avrà sempre la stessa sezione, ma questa diminuirà avvicinandosi al drain

ciò significa che all’aumentare della VDS la resistenza del canale aumenta e la caratteristica si incurva. Se la tensione VDS supera il valore di pinch-off  il canale si apre e, come nel caso del JFET, la corrente diventa quasi costante

Questo transistor è detto MOSFET enhancement mode o MOSFET ad arricchimento. Il simbolo circuitale del MOSFET enhancement mode è il seguente

MOSFET depletion mode

Esiste un secondo tipo di MOSFET detto depletion mode. La struttura di principio è identica, ma vi è la differenza che, in tal caso, il canale fra Source e Drain già esiste perché realizzato per drogaggio dal costruttore. Ciò vuol dire che anche se la VGS è nulla si può avere una circolazione di corrente nel dispositivo. In tal caso la  VGS può essere positiva (si allora un allargamento del canale e correnti più elevate) o negativa (si  restringe il canale e si hanno correnti più piccole)

il simbolo circuitale è il seguente


Un’applicazione - L’energia Fotovoltaica

 

Introduzione

L’energia fotovoltaica ultimamente ha fatto un bel salto di qualità,si è passati infatti dalle piccole superfici sufficienti a produrre l’energia elettrica per un faro su uno scoglio, alle grandi superfici come interi tetti di palazzi cittadini. Il processo che genera l’energia fotovoltaica sfrutta la capacità propria di alcuni materiali di generare elettricità quando sono colpiti dalla radiazione solare

 

La radiazione solare

La radiazione solare è l’energia elettromagnetica emessa dai processi di fusione

dell’idrogeno contenuto nel sole sotto forma di energia raggiante. Saremmo portati a pensare che il sole irraggia energia attraverso la luce;in realtà essa è costituita da onde elettromagnetiche aventi frequenza elevatissima. Di tutte queste onde elettromagnetiche, quelle che principalmente ci occorrono sono quelle aventi lunghezza d’onda compresa tra 0.2 e 0.3 µm, comprese nello spettro ottico che va dall’ultravioletto all’infrarosso, la cui massima intensità viene riscontrata in corrispondenza della lunghezza d’onda di circa 0,5 mm ,all’interno dello spettro visibile che si estende da 0,4 a 0,8 mm . Dovendo analizzare la sua interazione con la materia, piuttosto che la sua propagazione, è indispensabile considerare la luce come composta da quanti, ovvero particelle di energia elettromagnetiche, noti con il nome di fotoni.

 

L’intensità della radiazione solare al di fuori dell’atmosfera terrestre è pari a circa 1353 W/m2 ; tale valore viene sensibilmente ridotto sulla superficie della terra a causa dell’effetto dell’atmosfera, fino a raggiungere il valore massimo di circa 1000W/ m2 , che corrisponde al massimo irraggiamento al suolo nelle condizioni ottimali. L’intensità e la distribuzione spettrale della radiazione solare che arriva sulla superficie terrestre infatti dipendono dalla composizione dell’atmosfera. Durante l’attraversamento di essa,l’irraggiamento subisce vari effetti:

una parte viene diffusa in tutte le direzioni dell’incontro, dalle molecole di ossigeno, azoto, vapore acqueo, anidride carbonica, ozono;

una parte viene riflessa principalmente dalle nuvole;

una parte viene assorbita dalle molecole stesse dell’aria e dal pulviscolo atmosferico;

Il rimanente raggiunge la superficie della Terra e prende il nome di radiazione diretta.

 

Le celle fotovoltaiche

Possiamo facilmente comprendere quanto il sole sia fondamentale da un punto di vista energetico,anche perché l’energia solare è un energia pulita  e rinnovabile che permette di abbattere l’emissione di CO2 nell’ambiente e così diminuire l’effetto serra.

Dobbiamo quindi analizzare come si fa a trasformare un energia proveniente dal sole in energia più utile e pratica, come cercare di immagazzinarla nelle ore notturne o per i giorni poco soleggiati. Per trasformare direttamente la luce solare in energia elettrica si usa la tecnologia fotovoltaica .Essa sfrutta il cosiddetto effetto fotovoltaico.

 

I differenti tipi di celle

Le celle fotovoltaiche sono fatte da sottili fette di silicio spesse da 0.3 a 0.5 mm di forma circolare, rettangolare o ottagonale. Le due superfici della cella vengono metallizzate per permettere il loro collegamento elettrico. Nella parte da esporre al sole, la metallizzazione assume la forma tipica di una griglia per lasciare dello spazio per la penetrazione della luce solare. Si differenziano basilarmente tre tipi di celle a seconda della struttura del cristallo: monocristalline, policristalline e amorfe.

Per la produzione di celle monocristalline si utilizzano semiconduttori dotati di una struttura altamente pure che ne determina buona parte del loro costo. Dalla massa fusa di silicio si tagliano delle barre monocristalline che vengono in seguito tagliate in sottili placche. Questo metodo di produzione garantisce un assorbimento della luce e la raccolta delle cariche prodotte ottimale.

La produzione di celle policristalline è meno onerosa: in questo caso la massa di silicio viene fusa in blocchi, i quali infine vengono tagliati a dischetti. Durante il processo di solidificazione si formano delle strutture cristalline di differenti dimensioni che presentano sulla loro superficie alcuni difetti. Di conseguenza, il rendimento di questo tipo di celle è inferiore al precedente.

Si parla di celle a silicio amorfo o celle a film sottile quando su un substrato di vetro o di altro materiale viene spruzzato un sottile strato di silicio. Lo spessore dello strato di silicio è inferiore a 1µm: ne risulta un costo del materiale molto basso e di conseguenza un basso costo di produzione. Questo tipo di cella ha il rendimento minore, ma si adatta anche in caso di irradiamento diffuso. Le celle amorfe vengono generalmente utilizzate per alimentare apparecchi portabili o come elementi di facciate fotovoltaiche.

 Esistono anche altri tipi di celle solari in commercio e altri in via di sperimentazione. Una cella molto usata è la cella di Arseniurio di Gallio per il suo ottimo rendimento. Infatti, pur essendo tossica, trova molte applicazioni in satelliti spaziali, dove l’energia del sole è l’unica fonte di energia disponibile e grazie alle sue alte prestazioni diventa possibile ridurre le dimensioni dei pannelli solari.

Le caratteristiche principali dei diversi materiali per le celle fotovoltaiche possono essere indicate dalla seguente tabella:

 

Caratteristiche

Si

monocristallino

Si

multicristallino

Si

amorfo

Rendimento

cella

    14-17%

     12-14%

   4-6% singolo

   7-10%tandem

Vantaggi

-Alto rendimento,

-stabile tecnologia

-affidabile

-Minore rendimento e costo

- fabbricazione più semplice 

-migliore occupazione dello spazio

-Costo minore 

-minore necessità di materiale ed energia nella fabbricazione

-buon rendimento  anche con basso irraggiamento

-flessibile

Svantaggi

-Costo elevato, 

-quantità di materiale

necessaria alla fabbricazione

-complessità 

-Complessità

-sensibilità alle impurità

-Basso rendimento

-Degrado iniziale

-Stabilità negli anni

 

 

Principio di funzionamento

 

Una cella fotovoltaica non è altro che l’elemento più semplice a semiconduttore: il diodo.  Esso è costituito da un cristallo di tipo N, che essendo costituito da alcuni atomi trivalenti, presenterà delle lacune pronte ad essere occupate da elettroni e per tanto, presenterà degli ioni negativi o accettori e un cristallo di tipo P, che essendo invece costituito da alcuni atomi pentavalenti, presenterà degli elettroni liberi e quindi degli ioni positivi o donatori. La sola congiunzione di questi cristalli, provoca una corrente di diffusione  senza che venga applicato alcun campo elettrico. Tale fenomeno, è dovuto al gradiente di concentrazione, cioè alla concentrazione non omogenea di cariche, che tendono a spostarsi lì dove sono meno concentrate. Si avrà  quindi una corrente di lacune dalla zona P alla zona N e una corrente di elettroni dalla zona N alla zona P.

 

Nel momento in cui le due cariche si incontrano a cavallo della giunzione, si ha il fenomeno della ricombinazione che provoca la scomparsa di elettroni e lacune e la permanenza nella zona di svuotamento di ioni positivi e negativi. Si viene così a creare un campo elettrico ( E )  dalla carica positiva a quella negativa cioè dalla zona drogata di tipo N a quella drogata di tipo P.

Nasce una barriera di potenziale che consente il passaggio della corrente di diffusine solo in una direzione, a seconda che il campo imposto dall’esterno, sia maggiore o minore di quello interno.

 

Conversione fotovoltaica

Un   fotone che colpisce un materiale semiconduttore, può provocare la liberazione di un elettrone di valenza. Se un fotone colpisce un normale strato di cristallo, questo elettrone libero vagherà un po’ per il reticolo cristallino, ma presto o tardi si legherà di nuovo a un atomo. È necessario invece che questo elettrone libero non si ricombini subito a una lacuna, ma possa raggiungere i contatti elettrici all’estremità della cella. Entra in gioco la caratteristica del diodo; quest’ultimo, facilitando il passaggio della corrente in una sola direzione, non permette all’elettrone di ritornare al suo atomo originario. Infatti, quando un fotone colpisce un atomo nella zona di giunzione PN, esso subirà una accelerazione nella zona di congiunzione del diodo in un senso preciso. In questo modo, l’elettrone non tornerà più al suo atomo originario ma dovrà fare un’altra strada: attraverserà la zona N, fino a raggiungere il contatto elettrico. Ora, se all’estremità dei cristalli P e N colleghiamo, per mezzo dei terminali un carico, l’elettrone sarà costretto a passare attraverso il carico. In questo modo avremo generato energia elettrica per mezzo di un fotone. 

 

 

Come si costruiscono

Le celle solari sono in realtà il frutto di un procedimento di costruzione molto complesso. Attualmente le celle solari più comuni sono quelle costruite con il silcio, che è l’elemento più diffuso sulla crosta terrestre dopo l’ossigeno. Tuttavia, per essere sfruttato, deve  presentare un’adeguata struttura molecolare (monocristallina, policristallina o amorfa) e un elevato indice di purezza, caratteristiche che non possono trovarsi in natura nei minerali da cui viene estratto.

Si distinguono diversi tipi di silicio in base al grado di purezza: silicio di grado elettronico (con concentrazione di impurezze di circa una parte su cento milioni), silicio solare (con grado di impurezza di circa una parte su dieci mila), e silicio di grado metallurgico circa (una parte su 100).

Il silicio di grado metallurgico viene ottenuto nella silice contenuta nella sabbia, mediante riduzione dei forni ad arco. Il silicio elettronico impiegato nella costruzione di componenti di uso comune, deve essere estremamente puro con struttura monocristallina, a tale scopo sono state sviluppate diverse tecnologie che permettono di ottenere il silicio di grado elettronico. Tali processi, anche se costosi non sono molto onerosi perché incidono poco nella produzione del prodotto finito.

Fortunatamente per realizzare una cella solare il silicio deve avere una purezza inferiore a quella necessaria per produrre circuiti integrati.

 

 

METODI DI CREAZIONE DELLE CELLE FOTOVOLTAICHE

Esistono vari metodi per la creazione delle fette di silicio che servono per la creazione di celle fotovoltaiche: di seguito vengono descritti quelli più frequentemente utilizzati.

 

METODO CZOCHRALSKY

Questo metodo consente di ottenere il silicio monocristallino a partire dal silicio policristallino di grado elettronico. In un crogiolo contenente silicio fuso viene immesso un “seme” di silicio monocristallino in lenta rotazione. Il seme cristallino viene lentamente estratto e, controllando opportunamente la velocità di estrazione, si regola il diametro del lingotto e si concentrano le impurità nella parte inferiore di esso. Il lingotto viene sagomato in forma cilindrica e tagliato a fette.

 

METODO EFG

Il metodo EFG consiste nell’ottenere un nastro di silicio monocristallino mediante un processo di trafilatura. Il nastro viene ottenuto mediante il passaggio attraverso una fessura in cui sale il silicio liquido.

Esistono alcuni problemi riguardo la purezza del cristallo dovuti al fatto che il silicio fuso si presenta come ottimo solvente e pertanto raccoglie le impurità della trafila. Comunque con il metodo EFG sono state ottenute celle con rendimento del 13%.

 

METODO CASTING

Il metodo casting è un processo produttivo di celle fotovoltaiche, a partire dal silicio scartato delle industrie elettroniche. Le fasi produttive consistono nella minuta frammentazione del materiale seguita da un’operazione di decapaggio per una prima parziale purificazione delle impurità superficiali.

Il materiale viene quindi fuso e colato nelle forme (casting) in cui avviene una successiva ricristallizzazione.

Le operazioni di fusione, colaggio e cristallizzazione sono particolarmente critiche. Il problema che si presenta, e che è poi tipico di tutta la tecnologia di produzione dei semiconduttori, è quello della necessità di ridurre al minimo il tasso di impurezze presenti nel materiale per ottenere il migliore rendimento durante la conversione fotovoltaica. È questo il motivo per cui, a tutt’oggi, si possono permettere la fusione di colate di al massimo 100 Kg e per un tempo non inferiore a 24 h.

Dopo la cristallizzazione si procede alla squadratura del blocco per togliere le asperità meccaniche e per togliere le impurità che i processi precedenti hanno fatto addensare sulla superficie del monocristallo. Dalla massa si ottengono quindi vari lingotti che verranno affettati per la realizzazione dei cosiddetti ”wafer”,  dallo spessore sottilissimo.

Sulle fette viene effettuata una prima operazione di drogaggio di tipo P (boro) e successivamente una nuova operazione di drogaggio ma di tipo N (fosforo).

Le operazioni di drogaggio avvengono in appositi forni a temperature dell’ordine dei 900 °C e la quantità di atomi e la profondità della giunzione vengono regolate dalla permanenza nel forno a diffusione.

Una volta ottenuta la giunzione P-N si devono effettuare le metallizzazioni sul fronte

e sul retro: la prima deve essere realizzata in modo che si possa realizzare il migliore compromesso tra elevata trasparenza alla luce e basso valore di resistenza, per mantenere alto il rendimento di conversione fotovoltaica. La seconda metallizzazione non deve rispondere a questi requisiti, non essendo esposto alla luce e viene pertanto esteso a tutta la superficie.

Entrambe le metallizzazioni possono venir fatte per evaporazione sotto vuoto o per serigrafia. Il primo processo, più economico, è il più utilizzato per la fabbricazione di celle commerciali; il secondo, più costoso, consentendo rese di conversione più alte viene utilizzato solo per le applicazioni speciali come la costruzione di celle per usi spaziali.

Una volta che si sono realizzati i contatti metallici, il fronte della cella viene ricoperto da uno strato di materiale antiriflettente dello spessore di circa 0,8 mm.,  che serve a permettere alla giunzione di non riflettere i fotoni incidenti e quindi, di assorbire tutta la luce aumentando ulteriormente il rendimento di conversione. La cella in fine viene inglobata tra stati di vetro e silicone che dovranno essere il più trasparente possibile.

 

 


Indice analitico


A

Arseniurio di Gallio; 101

atomi donatori; 51; 52; 67

atomo; 6; 7; 9; 10; 11; 16; 17; 18; 19; 20; 23; 24; 25; 44; 47; 49; 50

B

Balmer; 23

banda di conduzione; 19; 45; 56

banda proibita; 18; 19

bande di energia; 16; 18; 50

Bohr; 11; 12; 20; 24; 25

C

cammino libero medio; 50

celle a film sottile; 100

celle a silicio amorfo; 100

celle fotovoltaiche; 56

conduttività; 51; 52; 53; 54; 55

conduttori; 4; 19; 45

configurazione elettronica dello stato fondamentale; 37

Conversione fotovoltaica; 103

Corrente di diffusione; 57

costante di Planck; 30

costante di Plank; 25

curva di sensibilità spettrale; 56

D

densità di carica; 51

Densità di carica; 51

densità di corrente; 50

Drain; 82; 85; 86; 92; 93; 97

E

Effetto Hall; 53

elettrone di valenza; 45

energia fotovoltaica; 99

F

fotoconduttori; 55; 56

fotoresistori; 55

funzione d'onda; 13; 30; 31; 33; 34

G

gap; 18; 19

Gate; 82; 83; 85; 92; 93; 94

giunzione pn; 64

I

il modello atomico di Thomson; 6; 8

isolanti; 4; 19; 46

J

JFET; 82; 83; 84; 90; 91

L

L’energia Fotovoltaica; 99

lacune; 45; 46; 47; 48; 49; 66; 67

lunghezza d’onda critica; 56

Lyman; 24

M

Massa efficace; 51

METODO CASTING; 104

metodo Czochralsky; 61; 62

METODO EFG; 104

mobilità; 50

modello del gas elettronico; 50

MOSFET; 92; 94; 97

N

numeri quantici; 31; 37; 38

numero d’onda; 20; 23

numero quantico di spin ms; 33

numero quantico magnetico m; 32

numero quantico principale n; 31

numero quantico secondario o azimutale l; 32

O

orbitali; 13; 14; 16; 27; 31; 32; 33; 34; 35; 36; 37; 38; 39; 40

P

Paschen; 24

principio di indeterminazione di Heisenberg; 13

Principio di minima energia; 37

Principio di Pauli; 37

Purificazione chimica; 59

Purificazione fisica; 60

R

raffinazione a zone; 60

reattore a letto fluido; 59

reattore CVD; 59

Regola di Hund o della massima molteplicità; 37

reticolo cristallino; 17; 18; 44; 46; 47; 50; 64

Rhuterford; 7; 9

ricombinazione; 49; 57; 67

Robert Mulliken; 36

Rydberg; 23

S

Schrödinger; 27; 30

semiconduttori; 4; 19; 43; 45; 46; 50

Source; 82; 83; 85; 92; 93; 94; 97

spettroscopia; 20; 22; 23

struttura monocristallina; 61

struttura policristallina; 61

substrato; 68; 71; 92; 93; 94

T

Tecnologia planare; 71

tempo di vita medio; 57

tensione di pinch-off; 88

Thomson; 6

transistor unipolari; 82

V

velocità di deriva; 50; 54