Il transistor come amplificatore
Continuiamo nel nostro studio dei transistor dando una dimostrazione
grafica della loro capacità di amplificare segnali.
Innanzitutto, visto che i legami fra tensioni e correnti nei
transistor non sono univocamente determinati (essendo espressi da molteplici
caratteristiche), bisogna determinare il punto di lavoro a riposo cioè i valori di tensione e corrente che si instaurano nel
transistor quando non vi è alcun segnale di ingresso da amplificare.
Un possibile circuito per determinare questo punto di lavoro
è il seguente
tramite questo circuito si impongono i valori di tensione e
corrente nel dispositivo: si dice che abbiamo polarizzato il transistor. Poiché
vogliamo usare il transistor come amplificatore vorremo che il suo punto di
riposo ricada nella zona delle caratteristiche che abbiamo detto zona lineare,
in modo da assicurarci che l’uscita sia proporzionale all’ingresso (come in
ogni buon amplificatore di segnali). Ricordiamo infatti, che i segnali
elettronici sono portatori di informazioni, le quali sono codificate in qualche
modo nella forma dei segnali stessi: un buon amplificatore deva allora
amplificare i segnali ma non cambiarne la forma in modo da non perdere
l’informazione racchiusa in essi.
All’interno del circuito possiamo individuare due percorsi
chiusi (due maglie):
una di ingresso
e una di uscita
I componenti presenti nella prima maglia permettono di
determinare il punto di riposo nella caratteristica di ingresso, cioè il valore
della corrente IB e della tensione VBE.
Come visto per il diodo (vedi
Caratteristica del
diodo) occorre trovare la soluzione confrontando un’equazione
espressa graficamente (le caratteristiche di ingresso del BJT) con un’equazione
determinata dall’applicazione del secondo principio di Kirchhoff alla maglia di
ingresso
VBB =RBIB+VBE
Anche in questo caso, per risolvere il problema si decide di
tradurre la seconda equazione in un grafico da sovrapporre a quello delle
caratteristiche. Essendo l’equazione lineare dovremo avere una retta che intersecherà l’asse delle ordinate nel
punto che rappresenta la corrente che si ha quando la tensione è nulla
VBE =0 à VBB =RBIB à IB
= VBB/RB
La retta intersecherà invece, l’asse delle ascisse nel punto
in cui la corrente è nulla
IB =0 à VBB = VBE
Graficamente abbiamo il seguente risultato
Dalla intersezione delle VBE e della corrente di
IB. Ci occorre soprattutto quest’ultimo valore poiché esso ci
consente di selezionare, nella famiglia di caratteristiche di uscita del BJT,
quella che effettivamente rappresenta il legame fra VCE e IC nel
circuito dato.
Pur avendo individuato una caratteristica fra le tante,
esistono ancora infiniti valori di VCE e IC che soddisfano
tale legame. La coppia di valori che effettivamente si instaurerà sarà quella
che soddisferà anche l’equazione dovuta al secondo principio di Kirkhhoff
applicato alla maglia di uscita
VCC = RCIC
+ VCE
Anche in questo caso l’equazione darà luogo ad una retta che
intersecherà l’asse delle ordinate nel punto IC = VCC/RC
e l’asse delle ascisse nel punto VCE = VCC. Si avrà il
seguente risultato graficamente
In esso il generatore di tensione variabile rappresenta il
segnale che vogliamo amplificare.
Ora la tensione di ingresso non è più costante, non
coincidendo più soltanto con la VBB, ma è pari alla somma fra VBB
e il segnale e(t).
VBB + e(t) =RBIB+VBE
Abbiamo ancora un legame di tipo lineare, ma stavolta la
retta rappresentante tale legame non è unica dipendendo dal valore che assume
istante per istante e(t). Poiché le intersezioni con l’asse delle ordinate e
l’asse delle ascisse sono rispettivamente
IB =
(VBB +e(t))/RB
VBE =
VBB +e(t)
Possiamo dire che la retta di carico trasla sul diagramma
parallelamente a se stessa (poiché la sua inclinazione è data dal valore della
resistenza RB che rimane costante).
varia anche l’intersezione con la caratteristica e quindi il
valore che assumeranno di volta in volta VBE e IB.
In uscita la retta di carico rimane costante poiché non
varia la VCC del generatore. Però varia la caratteristica che di
volta in volta rappresenta il legame fra VCE e IC, poiché
essa dipende da IB.
dalla figura seguente si vede come
la corrente di uscita riproduca la stessa forma del segnale
di ingresso. Lo stesso avviene per la tensione di uscita anche se, in questo
caso notiamo come la tensione di uscita sia invertita rispetto a quella di
ingresso.
Discorso analogo si può fare per il transistor JFET. Anche
in questo caso occorre un circuito di polarizzazione che, a causa dell’assenza
di caratteristiche di ingresso per tale transistor, risulta più semplice
il generatore di ingresso impone direttamente il valore
della tensione VGS la quale individua quale delle caratteristiche di
uscita vada considerata. Il punto di lavoro verrà determinato dall’intersezione
di questa caratteristica con la retta di carico che rappresenta l’equazione
dovuta al secondo principio di Kirkhhoff sulla maglia di uscita.
se aggiungiamo in ingresso un segnale variabile, la
caratteristica di uscita varia facendo variare il punto di intersezione con la
retta di carico. Anche in questo caso otteniamo fra source e drain un segnale
che ha la stessa forma, a meno del segno, rispetto al segnale di ingresso.
Il discorso per il MOSFET è del tutto identico a quello
fatto per il JFET come si può vedere dalle figure seguenti