1.1 Il motore a corrente continua
Il motore a corrente continua,
chiamato così perché per funzionare deve essere alimentato con tensione e
corrente costante, è costituito, come gli altri motori da due parti, il rotore
e lo statore.
Questo tipo di motore può avere
due tipi di statore, che possono essere i seguenti:
Statore a magneti permanenti
Statore alimentato
Entrambe le due tipologie di
statori hanno lo stesso scopo, quello di generare un campo magnetico costante.
Con il primo tipo di statore il valore del campo magnetico generato
non è modificabile, in quanto sono due magneti permanenti a generarlo. Invece la seconda tipologia di statore è
in grado di generare campi magnetici a valori regolabili. I valori desiderati
di campo magnetico possono essere generati variando la tensione ai capi del
circuito statorico. Il circuito statorico necessita anch’esso di una tensione e
corrente costante ma solo perché deve generare come detto un campo magnetico
costante. Il circuito statorico per poter generare il campo magnetico desiderato
è avvolto su blocchi di materiale ferromagnetico.
Quindi la forma dello statore
nelle due tipologie è uguale l’unica differenza sta nel fatto che il primo ha
dei magneti invece il secondo ha nuclei ferromagnetici su cui sono avvolte
delle spire.
Figura 1
Come si vede dalla figura 1, a
sinistra si ha uno statore a magnete permanente, invece a destra si ha uno statore alimentato (il circuito di
alimentazione è cerchiato in nero).
Per la trattazione che segue
adotteremo la sola tipologia di motore a magneti permanenti.
1.2 Come funziona
Il motore a corrente continua
mette in pratica fondamentalmente la legge di Lorenz. Questa legge fisica
recita che:
“Un filo percorso da
corrente ed immerso in un campo magnetico, è soggetto ad una forza se i versi
dei vettori della corrente e del campo magnetico sono ortogonali tra di loro.
Il verso della forza risulta è descrivibile dalla regola della mano destra”
(figura 2).
Figura
2
Dalla figura 2 si nota che il filo
rosso percorso dalla corrente I ed immerso nel campo magnetico B è sottoposto ad
una forza F. Il valore di tale forza F è dato dalla formulazione della legge di
Lorenz:
F = l * (I x B)
Dove l è la lunghezza del filo, ed
I e B formano un prodotto vettoriale (cioè I e B devono essere sfasati di 90°).
Da questa ne deriva che:
F = l * I * B * sen(α)
Dove α è l’angolo tra il vettore corrente ed il vettore del campo magnetico
B. essendo un prodotto vettoriale la forza F risultante sarà sfasata di 90°
rispetto al vettore corrente e 90° rispetto al vettore del campo magnetico B.
In base a questa legge fisica
possiamo gia delineare il ruolo dei magneti permanenti presenti nella cassa
statorica. Essi non fanno altro che generare un campo magnetico lineare (come
si vede nella figura 3).
Figura 3
Dalla figura 3 si notano le linee
di campo magnetico ortogonali all’asse di rotazione del motore.
Ora se mettiamo delle spire sul
rotore e le facciamo percorre da corrente, essendo il vettore corrente ed il
vettore del campo magnetico ortagonali tra loro (solo quando la spira è
orizzontale) su codesta spira viene applicata una forza, pari alla forza di
Lorenz. Quando questa si trova nelle altre condizioni l’angolo α risulta inferiore a 90°. Ciò comporta una riduzione della forza
applicata sulla spira e quindi sull’asse del rotore del motore.
In particolare se consideriamo di
avere a disposizione una singola spira questa può trovarsi in varie condizioni
che possono essere le seguenti:
Figura
4
Come si può notare dalla figura 4,
nel 1° quadrante (a destra) il vettore corrente e quello magnetico sono
ortogonali tra e loro, e la spira è completamente immersa nel campo magnetico.
In questa condizione la forza applicata sulla spira è massima. Inoltre sulla
spira sono applicate due forze (contrapposte a causa del diverso verso che ha
la corrente nel percorrere la spira) tali da mettere in rotazione il rotore,
quindi sulla spira vi è applicata una coppia. Le forze vanno una verso l’alto e
una verso il basso e sono applicate sui lati lunghi della spira cioè quelli
paralleli all’asse del motore. Invece nel secondo quadrante si nota la spira in
rotazione ed in questo caso il vettore corrente ed il vettore del campo
magnetico non sono ortogonali tra loro e quindi la coppia applicata sulla spira
è inferiore a quella precedente.
Figura
5
Nella figura 5 si notano invece le fasi di rotazione della spira. Nel
terzo quadrante in particolare si evidenzia la fase in cui sulla spira non
viene applicata alcuna forza perché questa è fuori dalle linee del campo magnetico.
Con una spira quando questa arriva
a posizionarsi come mostrato nella figura 5 terzo quadrante, il rotare non è
capace più di ruotare. Per ovviare a questo problema, e quindi mantenere in
motore in rotazione, bisogna utilizzare almeno due spire poste in maniera
incrociata. In questo modo quando una spira è fuori dal campo magnetico (terzo
quadrante) l’altra si trova totalmente immersa nel campo come mostrato nella
figura 5 primo quadrante. In questo modo si ha un’alternanza tra le due spire
nell’applicare coppia all’asse del motore.
Il problema che si ha, è che le
due spire devono essere alimentate. Se mettessimo due fili collegati alle spire
avvolte sul rotore dopo pochi giri questi si aggroviglierebbero tra loro. Per
risolvere questo problema si utilizza un pezzo meccanico caratteristico solo del
motore a corrente continua, il “collettore”.
Il collettore è costituito da una
serie di lamelle di rame poste vicine tra loro ed ognuna isolata elettricamente
dalle altre, nella seguente figura si può notare un collettore di un motore a
corrente continua:
Figura
6
Ad ogni lamella del collettore vi
è collegata un capo di ogni spira, quindi se il motore ha due spire il
collettore deve avere 4 lamelle.
Sopra il collettore vi strisciano
due spazzole le quali forniscono l’alimentazione elettrica necessaria alle
spire per poter per mettere al rotore di ruotare.
Le spire sono collegate su lamelle
opposte tra loro, quindi per poter alimentare la spira completa le spazzole
devono alimentare le lamelle giuste. Perciò anche le spazzole si trovano
distanziate tra loro di 180° (opposte tra loro). L’insieme di collettore,
spazzole e spire sono connesse come mostrato nella figura 6.
I motori a corrente continua oggi
presenti sul mercato presentano un numero di spire (o meglio un numero di avvolgimenti di spire) anche superiore a
20.
Quando il rotore inizia a ruotare
ogni spira vede come se ci fosse un campo magnetico variabile, perché essa si
sposta nello spazio dove sono presenti le linne di forza del campo magnetico.
Un campo magnetico variabile
genera all’interno di una spira una forza controelettromotrice, cioè una
tensione che si oppone alla forza che la ha generata, questa tensione è
descritta dalla legge di Lenz. Come detto la tensione generata si oppone alla
tensione di alimentazione. Questa forza controelettromotrice (dora in avanti la
indicheremo con E), essendo il modulo del campo magnetico costante, risulta
linearmente dipendente alla velocità di rotazione del motore (velocità angolare
ω):
E = K * ω
Detto tutto sul funzionamento del
motore a corrente continua nella figura seguente è mostrato l’insieme del rotore
e dello statore.
Figura
7
1.3 Modellazione matematica del motore a corrente continua
Il motore a corrente continua può
essere visto come l’insieme di due parti fondamentali, una elettrica ed una
meccanica. Entrambe fanno parte del rotore. Lo statore ha solo il compito di
genera il campo magnetico per tale motivo non necessita alcuna modellazione. Ma
sicuramente il campo magnetico B risulterà nelle equazioni descrittive del
motore.
La parte elettrica è
caratterizzata dalla resistenza e dall’induttanza che caratterizzano le spire
avvolte sul rotore:
Figura
8
Come si può notare dalla figura 8
essendo la spira composta da rame questa avrà una resistenza caratteristica del
filo, ed essendo il filo avvolto a spirale questo si comporta come un induttore
e quindi la spira sarà caratterizzata anche da una induttanza caratteristica.
Come detto la
forzacontroelettromotrice E dipende dalla velocità di rotazione del motore,
quindi all’avvio questa risulterà pari a 0 V.
La parte meccanica invece dipende
dalla forma del rotore, dal materiale da cui questo è composto e quindi dal
peso del rotore.
La parte meccanica del motore è
quella più importante in quanto questa caratterizza le dinamiche del motore
stesso. Per esempio, ci vuole maggior tempo per muovere un rotore più pesante
rispetto ad uno più leggero. Quindi avere caratteristiche meccaniche
particolari comporta grosse differenze tra motori con la stessa parte
elettrica.
Le equazioni descrittive del
motore a corrente continua, mettono in grossa relazione la parte elettrica a
quella meccanica.
Considerando il circuito elettrico
che caratterizza la spira (figura 8) si ha che l’equazione di tale circuito è la
seguente:
Va = R*Ia+L*dIa/dt
+ E
Dove Va è la tensione
di alimentazione e Ia è la corrente che circola nelle spire.
Per quanto riguarda la legge di
Lorenz vista in precedenza possiamo affermare che sia il campo magnetico che la
lunghezza del filo sono costanti, quindi la forza applicata sul rotore è la
seguente:
F=K1*Ia
Questa equazione è sequenziale
alla precedenza, inoltre abbiamo gia detto che sul rotore non è applicata sola
una forza ma bensì una coppia, quindi la formulazione precedente diventa la
seguente:
C=K1*Ia
L’equazione che descrive la parte
meccanica e quindi la parte rotorica è la seguente:
Cmotore = J*dω/dt + β*ω + Cext
Dove J è l’inerzia dovuta alla
massa del rotore, β è il coefficiente di attrito, Cext sono i carichi
esterni applicati al motore ed ω è la velocità angolare del
motore.
Quando il rotore comincia a
ruotare all’interno delle spire si genera una forza controelettromotrice che si
oppone alla tensione di alimentazione applicata al motore. Questa forza
controelettromotrice (espressa in volt) è generata dalla seguente equazione:
E = K * ω
Le quattro equazioni descritte
sopra sono le equazioni descrittive del motore a corrente continua.
Come si può notare il motore ha
due costanti di tempo una elettrica ed una meccanica indicate dai termini
derivati. Queste due costanti di tempo descrivono le dinamiche del sistema
motore. Per dinamiche intendiamo tutto quello che caratterizza l’evoluzione nel
tempo a determinati ingressi applicati al motore. Quindi il tempo di salita ed
il tempo di assestamento principalmente.
Per tempo di salita indichiamo il
tempo che il sistema impiega per arrivare all’uscita relativa all’ingresso
applicato. Invece per tempo di assestamento indichiamo il tempo che il sistema
impiega ad arrivare in una fascia di tolleranza, che solitamente è il 5% del
valore da raggiungere. Il tempo di salita ed il tempo di assestamento sono
indicati nella figura seguente. Nella figura 9 il tempo di salita è chiamato
Rise Time invece il tempo di assestamento è chiamato Setting Time. La linea
tratteggiata poco superiore a 0.14 è l’obiettivo da raggiungere.
Figura 9
Lavorare con equazioni ove sono
presenti termini derivati risulta molto difficile e complesso, quindi per
facilitare il lavoro di scelta del controllore utilizzeremo di seguito le
trasformazione di Laplace. Sapendo che i termini derivata nello spazio di
Laplace vengono indicati con la lettera “S”, e supponendo le condizioni iniziali
del motore siano tutte nulle possiamo scrivere le equazioni sopra descritte nel
seguente modo:
Va = R*Ia+L*sIa
+ E
F=K1*Ia
Cmotore
= J*sω + β*ω + Cext
E = K * ω
Ora si possono agglomerare le
quattro equazioni scritte sopra, e per facilitare la comprensione possiamo
metterle in una schematizzazione a blocchi:
Figura
10
Come si può notare dalla figura 10 il motore è intrinsecamente
un sistema a ciclo chiuso, quindi possiamo affermare che di per se il motore a
corrente continua cerca di correggere variazioni di coppia.
Il disturbo che causa la
variazione di velocità angolare del motore
sono i carichi esterni applicati al motore. Per esempio un motore che
alza un peso ha come disturbo esterno la coppia derivata dal peso, la quale si
oppone alla coppia generata dal motore che cerca di spostarlo.
Per quanto detto sopra il motore a
corrente continua cerca di portare la
velocità angolare del rotore al suo valore nominale cercando di bilanciare
anche le coppie esterne, ma ciò non è possibile perché anche se il motore cc ha
un suo ciclo chiuso tale ciclo non permette l’azzeramento dell’errore, dove
l’errore è dato dalla differenza tra la velocità nominale che si vuole ottenere
e la velocità misurata sull’albero motore (dove sono anche collegati i carichi
esterni). Il motivo di tale affermazione sarà comprensibile di seguito.
1.4 Teoria del controllo
Un sistema fisico può essere di
tre tipi:
Instabile
Stabile
Asintoticamente stabile
Gli ultimi due tipi solitamente
vengono comunque raggruppati nei sistemi stabili. Un sistema si dice stabile
se: “ad ingressi limitati risponde con uscite limitate”, ovviamente se ciò non avviene
il sistema è instabile.
Per poter capire meglio la
dicitura è meglio fare un esempio. Se si ha a disposizione un amplificatore
audio, questo sarà stabile se amplifica il segnale in ingresso del valore
voluto, cioè se voglio aumentare il valore del segnale di 8 dB, l’amplificatore
si deve comportare come l’utente desidera. Quindi in questo caso do in ingresso
un segnale limitato (per esempio una sinusoide di 1Vpp) e in uscita avrò un
segnale limitato (per esempio lo stesso segnale sinusoidale di 1,5 Vpp).
Invece se l’amplificatore è
instabile in uscita non fornisce un segnale con la stessa forma di quello in
ingresso ma un segnale costante con il massimo valore di amplificazione. Un
sistema instabile a qualsiasi segnale applicato in ingresso tende ad amplificarlo
all’infinito, quindi se l’amplificatore è in grado di amplificare di 150W il
segnale che avrò in uscita sarà quello d’ingresso ma distorto (diventa
costante) amplificato di 150W.
I sistemi instabili possono essere
pericolosi, per esempio se su una catena di montaggio è montato un
amplificatore meccanico e se questo tende ad essere instabile si possono avere
grosse amplificazioni di forza che possono causa la rottura dei macchinari
montati con esso, ed inoltre potrebbe causare anche il ferimento di persone
vicino alla catena.
Di seguito noi tratteremo solo
sistemi stabili, ma serve sapere la differenza tra un sistema stabile ed uno
instabile.
Prima di parlare del controllo è
meglio fare una descrizione su sui sistemi a ciclo aperto e sui sistemi a ciclo
chiuso.
Supponiamo di voler spostare un
oggetto da una posizione x ad una posizione y, e di avere a disposizione un
motore per lo spostamento dell’oggetto. Ci mettiamo inoltre nella condizione in
cui non siamo noi a movimentare il motore ma questo deve muoversi
automaticamente, ovvero c’è un segnale ciclico che andrà ad alimentare il
motore. Per esempio il segnale è a 12V per 10 secondi in modo da fare andare il
motore da x ad y ed è poi alimentato con -12V per altri 10 secondi per far
ritornare il motore nella posizione di partenza (figura 11).
Figura
11
Il problema che si ha è che se
durante il tragitto ci sono dei disturbi per il motore (per esempio la
cremagliera su cui viaggia il motore ha poco grasso quindi il motore scorre più
lentamente) questo può non arrivare nella posizione Y stabilita e/o potrebbe
non ristabilirsi nella posizione X di partenza. Questo problema si ha perché
noi non misuriamo la posizione istante per istante, quindi il motore non sa
dove si trova. Questo visto è un sistema a ciclo aperto in quanto diamo un
segnale in ingresso al motore senza misurare la sua uscita:
Figura
12
Nella figura sopra si nota un
blocco controllore, questo non è altro che il segnale ciclico, che comunque
controlla (non è un uomo che comanda).
Un sistema a ciclo chiuso consiste
invece nel confrontare istante per istante il valore che si vuole ottenere con
quello raggiunto dal sistema. Tenendo come esempio il motore che si sposta da
un punto X ad uno Y, il controllo a ciclo chiuso non fa altro che alimentare il
motore finché questo non raggiunge il suo obiettivo cioè la posizione Y
nell’andata e la posizione X nel ritorno. Lo schema base di un sistema a ciclo
chiuso è il seguente:
Figura
13
Come si nota dalla figura 13, con
un sistema a ciclo chiuso l’ingresso del controllore chiamato “Errore” è dato
dalla differenza tra il segnale “Riferimento” e il segnale “Uscita”. Il segnale
“Riferimento” è l’obiettivo che deve raggiungere il sistema invece il segnale
“Uscita” è l’uscita istante per istante del sistema (Motore).
Il controllore genererà un segnale
di attivazione al sistema finché la differenza tra il riferimento e l’uscita
(segnale “Errore”) non sarà pari a 0.
In realtà non è detto che il
controllore sia capace di rendere nullo l’errore tra il riferimento e l’uscita,
tutto dipende dal sistema, dal controllore, dall’ingresso applicato e da tutti
gli altri blocchi presenti nel ciclo.
In prima analisi possiamo definire
la seguente tabella grazie alla quale è possibile definire la struttura del
controllore:
|
Gradino |
Rampa |
Parabola |
Tipo 0 |
|
∞ |
∞ |
Tipo 1 |
0 |
|
∞ |
Tipo 2 |
0 |
0 |
|
Le colonne della tabella
rappresentano il tipo dell’ingresso applicato al sistema (l’ingresso è il
segnale Riferimento), invece le righe della tabella rappresentano il tipo del
sistema. Il tipo del sistema ci dice quanto poli nell’origine ci sono
nell’equazione matematica che descrive l’intero ciclo chiuso.
I valori che si ottengono
incrociando il segnale d’ingresso scelto ed il tipo del sistema a ciclo chiuso
sono l’errore che commette il controllore nel raggiungere il suo obiettivo.
Ovvero il valore nella tabella ci dice di quanto sarà l’errore tra il
riferimento e l’uscita.
Il ciclo chiuso da noi scelto è
quello mostrato in figura 13. in realtà al ciclo dobbiamo aggiungere il
guadagno del trasduttore. Il trasduttore scelto è una dinamo tachimetrica che
genera una tensione relativa al numero di giri del motore. La dinamo
tachimetrica scelta al max numero di giri del motore (60 rad/secondi) fornisce
12V. Come si vede gli unici blocchi che concorrono alla formazione dell’equazione
del sistema a ciclo chiuso sono il motore ed il controllore. Dato che il motore
non ha poli nell’origine (basta guardare l’equazione descrittiva del motore
rappresentata sopra) e dato che si vuole un sistema ciclo chiuso preciso, il
controllore deve sicuramente avere un polo nell’origine. Scegliendo in questo
modo il controllore e affermando che gli unici ingressi del sistema (segnale di
riferimento) saranno costanti, dalla tabella risulta che l’errore che
commetterà il controllore è 0 (sistema tipo 1 ed ingresso a gradino).
Il tipo di controllore che
sceglieremo è un controllore PID.
1.5 PID
I PID sono particolari controllori
che fondono insieme tre azioni:
Azione Proporzionale
Azione Integrativa
Azione Derivativa
Ognuna di queste tre azioni può
essere usata da sola o combinata con una delle altre. L’azione Proporzionale è
un semplice guadagno questo non fa altro che amplificare il d’errore e passarlo
in uscita al controllore (che diventa ingresso del sistema). L’azione
integrale, come dice la parola è un intrigale, dove il segnale integrando è il
segnale di errore, il segnale integrato viene poi moltiplicato per un guadagno,
chiamato “guadagno integrale”. Il risultato di queste due azioni viene passato
in uscita al controllore. Infine l’azione derivativa effettua la derivata del
segnale errore e moltiplica il risultato dell’azione derivativa per un guadagno
chiamato “guadagno derivativo”, anche in questo caso il risultato delle due
operazioni viene passato in uscita al controllore. L’insieme delle tre azioni è
mostrato di seguito:
Figura 14
Per quanto detto precedentemente
noi utilizzeremo la sola azione integrativa, quindi dobbiamo scegliere il
valore della costante Ki. Per migliore la dinamica del sistema ciclo chiuso,
ovvero per velocizzare la risposta del motore a variazione del segnale ingresso
scegliamo la combinazione dell’azione integrale e dell’azione proporzionale.
La scelta delle costanti
moltiplicative dell’azione proporzionale e dell’azione integrale è stata fatta,
facendo una sintesi per tentativi. La sintesi è stata realizzata grazie al
software MATLAB della MathWorks. La sintesi è stata fatta considerando il tempo
di salita ed il tempo di assestamento del ciclo chiuso (Motore + Controllore).
Partendo dai parametri di targa del motore:
L = 0,0002 H
R = 0,4 Ω
K1 = K = 0,02
J = 0,02
β = 0,0072
come si può notare i valori di K1
e K sono uguali. Questo è vero solo per motori ben bilanciati. La tensione
massima di alimentazione del motore è di 12V.
Il tempo di salita e di
assestamento del motore (senza controllo) è il seguente:
Figura
15
Per quanto riguarda i parametri
del controllore si sono scelto i valori di Kp e Ki in modo da ridurre
sensibilmente il tempo di salita ed il tempo di assestamento. I valori
risultanti dalla sintesi fatte sono i seguenti:
Kp = 0,4
Ki = 2
I miglioramenti ottenuti con
questo ciclo di controllo sono i seguenti:
Figura
16